La musica dal vivo, i concerti, hanno scandito la mia vita; ho provato a liberarmene a più riprese, non ci sono riuscito. Dove la mia volontà ha tentennato lasciando un piccolo margine è bastato poco: una lettura che funziona, l'aggiunta di uno strumento a contorno ed ecco ricominciare l'eterno gioco della voce che si fa partitura: ritmo, melodia, dinamica; spaziatura in cui crescere, calare, diluirsi e compattare. Le parole si lasciano facilmente attrarre nel discorso musicale che può puntualizzarne ed amplificarne il senso fino a schiudere una concretezza materiale, carnale, che può ferire o lenire le ferite, assumere valenze mediche o taumaturgiche. Non ho mai accettato l'idea di studiare musica e canto, doveroso ed indispensabile per chi fa della musica una nobile professione; io, combattendoci, ne ho fatto dedizione.È un approccio arcaico, si lascia attraversare; una fragile membrana che risuona: un niente può inciderla, strapparla, renderla afona; vive nel mistero della vita, ne condivide il rischio, non ne determina il corso né la fine. È stata una resa, ne è derivata una profonda serenità. Trovare le giuste persone, trovarle vicine, ha permesso di riposizionare a dimensione artigianale un concreto fare di suoni e senso. Uno sguardo dal crinale che si fa concerto.
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