
Caro Avvenire, e se il problema della democrazia fosse quello di volersi imporre in maniera antidemocratica? In nome del politicamente corretto e della cultura woke, si criticano i governi eletti, per sospetti brogli e allo stesso modo si attaccano i governi conservatori. Come dire che il 50% più uno degli elettori è aristocratico, autocrate, oligarca e autoritario, devoto al dispotismo, alla dittatura e al totalitarismo... Ma chi decide cosa è politicamente corretto? Il popolo o la casta politica che si ritiene depositaria della verità assoluta, coadiuvata da burocrati che si arrogano il diritto di dichiararsi dalla parte giusta della storia?
Gioacchino Caruso
Bolzano
Caro Caruso, sono solitamente diffidente davanti ai giochi di parole e ai paradossi verbali. Se qualcuno si impone in modo antidemocratico, non c’è democrazia. Punto. La sua lettera solleva però interrogativi reali, sebbene formulati in termini polemici, e orientati verso una risposta ben precisa. Che la democrazia – in Europa e nelle Americhe, dagli Usa al Brasile e all’Argentina – viva un periodo complesso pare innegabile. Molti studiosi (che hanno la possibilità di stare ai margini della contesa) sono alla ricerca delle cause e dei possibili rimedi, sinora senza troppo successo. Politici e cittadini devono invece provare ad aggiustare la nave mentre si è in navigazione, impresa sempre difficile. Veniamo quindi alle due vicende continentali più citate e discusse (spesso superficialmente).
Il candidato alle presidenziali romene Cãlin Georgescu ha vinto il primo turno ma l’intero voto è stato annullato dalla Corte costituzionale per supposti finanziamenti illeciti allo stesso Georgescu (per questo poi escluso anche dalla nuova chiamata ai seggi) e interferenze esterne nel processo elettorale. La leader del Rassemblement national, Marine Le Pen, è stata condannata in primo grado con l’accusa di avere usato fraudolentemente fondi europei per pagare le spese del partito in Francia e come pena accessoria ha avuto una incandidabilità di due anni che la escluderebbe dalle prossime consultazioni per l’Eliseo.
Nel primo caso, i dubbi nascono dalla necessità di decidere rapidamente e sulla base di soli indizi, per quanto solidi. Ci si sarebbe dovuti disinteressare del presunto complotto di Stati esteri per influenzare le scelte compiute dagli elettori? Forse, si sarebbe potuto posticipare il ballottaggio per consentire di fare maggiore chiarezza. Ma anche questa sarebbe stata una mossa irrituale, sebbene d’impatto meno forte. Nel secondo caso, vi sono stati una lunga inchiesta e un articolato dibattimento, che hanno portato alla sentenza da pochi criticata nel merito. Quello che fa problema è l’esclusione dalla corsa alla successione di Macron. Ma la norma applicata, simile alla nostra legge Severino, è stata voluta con forza anche da Le Pen e, comunque, la giustizia non può fare differenze tra candidati più o meno popolari. In definitiva, da parte di coloro che hanno manifestato nelle piazze di Bucarest e di Parigi, si contesta l’avere messo fuori gioco figure che una parte consistente dell’elettorato desiderava votare. Questo sarebbe il vulnus alla democrazia.
E qui, caro Caruso, bisogna intendersi. La democrazia non può essere fatta solo dalla preferenza espressa in un singolo giorno, volta a consegnare un potere senza limiti a chi ottiene la maggioranza. Le tutele e i contrappesi introdotti nel tempo servono a garantire i diritti di chi si trova temporaneamente a costituire una minoranza. Ben pochi avranno da eccepire se si escludono dalle liste per le Comunali esponenti mafiosi che possono inquinare l’amministrazione cittadina. Si tratta, ovviamente, di un esempio eclatante, in cui il consenso generale è più facile. Tuttavia, in linea di principio, non dovremmo mai rinunciare alle regole procedurali e alla divisione dei poteri, al rispetto dei codici e alle norme fondanti delle Costituzioni.
Per Le Pen, penso, sarebbe opportuno arrivare presto al secondo grado di giudizio in un clima più sereno (ciò non significa sostenere che i magistrati non siano stati imparziali). Mi verrebbe da dire che Macron potrebbe perfino graziare la sua rivale, se ne avesse i poteri, per dimostrare che la democrazia è più forte delle diatribe strumentali. Rimarrebbe la macchia del reato, ma verrebbe dissipata l’ombra su un’elezione che qualcuno in Francia (e non solo) comincia già a dipingere come falsata. Sarebbe una contraddizione con quanto detto finora? Dipende. Sappiamo che esistono una norma scritta e una materiale, vivente, che deve fare i conti con le circostanze concrete. La salvezza della liberal-democrazia passa da un’intelligenza diffusa, una passione autentica per il valore e il rispetto di ciascun individuo e da un equilibrio precario da riaggiustare costantemente. Proviamoci insieme.
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