La curiosità di Non ci resta che il crimine, intesa come la serie in onda in sei episodi il venerdì su Sky Serie e in streaming su Now, è che si rifà o comunque segue una trilogia di film: l’omonimo Non ci resta che il crimine (2019), Ritorno al crimine (2021) e C’era una volta il crimine (2022). I primi due con Marco Giallini (Moreno), Gian Marco Tognazzi (Giuseppe) e Alessandro Gassmann (Sebastiano); il terzo con Giampaolo Morelli (Claudio) al posto di Gassmann come nella serie tv dove, al pari dei tre film, i nostri protagonisti (sempre diretti da Massimiliano Bruno, che interpreta anche Gianfranco, e con l’aggiunta di Duccio, alias Maurizio Lastrico) tornano indietro nel tempo, ma finiscono, pasticcioni come sono, per modificare gli avvenimenti per cui cambiando il passato cambiano anche il presente. Dopo il viaggio cinematografico a ritroso fino agli anni Ottanta, in cui a Roma prosperava la Banda della Magliana, e poi quello nell’Italia fascista degli anni Quaranta, la serie prodotta da Sky Studios e da Fulvio, Federica e Paola Lucisano per Italian international film, trasporta i protagonisti negli anni Settanta, fra gli ambienti della sinistra giovanile e quelli della destra eversiva del Golpe Borghese, che qui si immagina riesca anziché miseramente fallire come nella realtà. A parte il fatto che tutto è un po’ stereotipato, sia i personaggi che gli ambienti, la serie punta su una comicità facile, con qualche battuta un po’ meglio quando involontariamente i tre fanno riferimento a cose che loro sanno perché le hanno già vissute, ma per il resto poca roba. Nel tentativo di approfittare del successo al cinema pensando di poterlo replicare in televisione, la serie, che sa molto di già visto, rischia di sembrare un brodo allungato, anche se i tempi diluiti della serialità televisiva permettono di dare più spessore ai vari personaggi.
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