È da tempo che non leggevo un libro di «teoria letteraria» (diciamo così) intelligente, concreto, veritiero e ricco di immaginazione come Il segreto della fama di Gabriel Zaid (Jaca Book). L'autore è nato nel 1934 a Monterrey e (dice la quarta di copertina) «è uno dei più prestigiosi scrittori messicani e autore pubblicatissimo in tutti i Paesi di lingua spagnola». In Italia sono stati già tradotti tre suoi libri, ma questo è il primo di cui mi accorgo.
È un libro insolito e appassionante, pieno di notizie, citazioni, aneddoti e dati storici su come la letteratura nasce e si trasforma, su come si passa dall'oralità alla scrittura e viceversa, su quello che facciamo con i libri, usandoli a modo nostro, manipolandoli, travisandoli, ignorandoli. Con la sua erudizione e il suo acume Zaid mostra che una teoria della letteratura per essere buona dev'essere anzitutto una descrizione particolareggiata di tutti gli usi che ne vengono fatti: deve essere cioè una teoria pratica, o meglio una teoria della sua pratica.
Non solo leggiamo letteratura, ma più spesso, ricorrendo a mille ingegnosi espedienti e alibi, evitiamo di leggerla. Citiamo frasi da libri che ignoriamo e nomi di autori famosi le cui opere non abbiamo mai aperto. Come disse Orson Wells, andiamo a teatro a vedere Shakespeare per riascoltare le frasi più proverbiali" Zaid ama il frammento, l'aforisma, le formulazioni sentenziose. La sua stessa prosa ne fa uso, soprattutto per mostrare come si producono la fama, il prestigio, i tanti involucri sociali dentro cui mettiamo autori e opere per consacrarli o renderli irreali. Così la sua sociologia della letteratura diventa satira sociale: «Per la vita sociale la cosa più importante è la vita sociale, non la lettura, anche se si parla di libri».
Ma oggi più che di libri si parla di autori. Meglio ancora: si vorrebbe parlare con gli autori invece che leggerli. Si è passati, conclude Zaid, dalla letteratura dell'io al feticismo dell'io letterario fuori dalle opere scritte.
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