Così Zanzotto celebrava il genio di Tolstoj, in fuga da tutto perché nulla poteva bastargli
sabato 5 gennaio 2013
Zanzotto e Tolstoj: nell'ultimo numero (il 150) «Lo straniero» rende omaggio congiuntamente al nostro poeta scomparso un anno fa e al grande narratore russo, grande anche come moralista, ideologo e pedagogo. Viene riproposta in apertura la relazione di Zanzotto al convegno «Umanesimo di Tolstoj» tenutosi a Venezia nel 1978, poi raccolto in Scritti sulla letteratura. Cosa poteva accomunare due autori così diversi? Soprattutto, mi pare, il senso di allarme e di urgenza creato da un mondo che già a fine Ottocento (in particolare in Russia) sembrava navigare verso la catastrofe, lacerato da conflitti che sarebbero esplosi presto in guerre, rivoluzioni e in estremismi di ogni genere. L'intero Novecento, soprattutto nella sua prima metà, sarebbe stato, come Tolstoj intuiva, un'epoca tragicamente distruttiva e disorientata. Zanzotto si concentra a riflettere sulla diffidenza di Tolstoj nei confronti delle promesse della Scienza positivistica, una scienza con la maiuscola che pretendeva di superare e sostituire ogni morale e religione. Il «tolstoismo» era fondamentalmente un evangelismo radicale e anarchico, antiistituzionale e populistico. Ma senza la vicenda delle contraddizioni e angosce indomabili dell'uomo Tolstoj, proprietario terriero e pauperista, grandissimo scrittore e nemico dell'arte (non esclusa la propria), le sue idee perderebbero forza. Per lui scienza e società dovevano essere al servizio della vita buona, vera e giusta di ogni individuo. Ma per capire che cos'è questa vita, ogni individuo deve lottare con se stesso, scoprire da sé cosa è bene e cosa è male in ogni singolo atto della vita quotidiana. La forza straordinaria del narratore Tolstoj è costituita dall'inizio alla fine nel bisogno inderogabile di capire raccontando, di chiarire come avviene, giorno dopo giorno, che il mondo sia quello che è. Era un potente istinto narrativo radicato sia nel dovere dell'autocoscienza che in quello di rendere la propria vita coerente con le verità di cui si è convinti. «E finì col fuggire da tutto – conclude Zanzotto – perché nulla di ciò che sapeva, o che l'uomo sapeva, poteva bastargli».
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