La rubrica “Riletture” che Mariapia Veladiano firma da quasi dieci anni sulle pagine de “Il Regno” viene integralmente postata anche sul sito della rivista (shorturl.at/jBRS7). E da lì si mette a viaggiare su blog e social: la puntata di settembre è già rimbalzata su “Alzo gli occhi verso il cielo” (shorturl.at/myEKT), prezioso e frequentato scaffale digitale di conferenze, saggi, lezioni di autori scelti perché affini nello spirito. La formula di queste “Riletture” è originale: una scrittrice che riapre un’opera di un altro scrittore. Non una recensione, non la scheda di un’antologia; piuttosto le risonanze che, a distanza di tempo dalla prima lettura, il libro suscita in chi, a sua volta, si misura abitualmente con “il mestiere di scrivere” (a proposito: l’ultimo romanzo di Veladiano è “Quel che ci tiene vivi”; qui su “Avvenire” ne ha parlato Alessandro Zaccuri shorturl.at/inrAL). In questa puntata il libro è “Dialoghi delle carmelitane”, che Georges Bernanos ha scritto «sul confine estremo della sua vita» e che «scorre tutto, letteralmente dalla prima all’ultima pagina, sotto il segno della paura, paura della morte». L’autrice l’ha letto «tanto tempo fa, a un’età non proporzionata alla profondità delle parole lette», e ora le si ripresenta «vividissimo a seguito di un’esperienza personale tanto profonda da segnare una cesura». Ha il «potere unico che solo le storie hanno, quello di rappresentarci. Dev’essere per questo – annota – che Gesù ha insegnato con le storie e non con i trattati (teologici)». La protagonista Bianca, nella Francia in cui scoppia la Rivoluzione, entra in clausura; «il resto è dialogo, e il dialogo è l’arte dell’incontro, fra gli uomini e, qui, fra le donne, e con Dio». Come sta «la paura con la fede?», si chiede Veladiano dopo aver rapidamente pennellato la conclusione della storia. «La verità è che non lo sappiamo. Non sappiamo proprio niente». Ma «una riflessione folgorante» di un personaggio del libro le suggerisce l’ultima, più forte risonanza: «Non importa avere paura, non importa avere dubbi, questo fa parte del nostro essere creature, mortali, fragili come tutto qui sulla terra. Importa conservare il luogo, la punta dell’anima o il fondo del cuore o la luce piccola interiore, in cui poter accogliere, ricevere, consumare la divina accettazione».
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