«Il segreto della comunicazione – con qualsiasi animale, da un cane domestico a un elefante selvaggio – non sta tanto nel contatto quanto nell’accettazione. La chiave di tutto è l’accettazione». Questa è la chiave anche del racconto di Lawrence Anthony, L’uomo che parlava agli elefanti, tradotto da Federica Fiodi e Grazia Ciotti per Piano B edizioni (pagine 384, euro 16,00). La vita nella riserva sudafricana di Thula Thula viene descritta con minuziosa sobrietà, ed è una vita non di salgariane avventure sgargianti ma, si potrebbe dire, nella sua realistica quotidianità. L’autore, ambientalista di rinomanza internazionale – nel 2003 aveva messo in salvo ciò che restava dello zoo di Baghdad dopo i bombardamenti – ha costruito Thula Thula con la sua compagna Françoise creando una zona in cui gli animali potevano vivere secondo la loro natura, al riparo dalle incursioni dei bracconieri avidi di avorio e di corni di rinoceronte. L’epopea cominciò quando Anthony accettò di ospitare a Thula Thula un branco di elefanti che avevano tentato di fuggire da una riserva confinante e che sarebbero stati uccisi perché ingovernabili. Erano sette bestioni capitanati dalla matriarca Nana, coadiuvata dalla sua vice Frankie, e Anthony riuscì a stabilire con l’elefantessa un rapporto che si potrebbe dire di intesa e addirittura di amicizia, sempre senza confusione di ruoli e senza antropomorfismi fiabeschi. Le avventure, di certo, non mancavano, sia quando si scoprì che i bracconieri erano le stesse guardie che avrebbero dovuto controllarli, sia quando scoppiarono incendi devastanti, sia quando il fiume straripò trasformando in fango e pantano tutto il circondario. Coccodrilli, rinoceronti, mostruosi serpenti, antilopi, iene, avvoltoi, vivacizzavano i giorni e le notti di Thula Thula, per la gioia dei turisti ospitati nel lodge che Françoise aveva arredato con eleganza e gestiva con raffinata professionalità. Veniamo a conoscere molte abitudini degli elefanti, i quali comunicano fra loro con infrasuoni attraverso particolari brontolii dello stomaco che possono captare a enorme distanza. Un particolare tenerissimo: quando Nana partorì un elefantino, lo portò subito da Anthony per farglielo conoscere. Lo stesso fece Frankie quando, poco dopo, mise al mondo un’elefantessina. Anthony contraccambiò mostrando loro un nipotino neonato che era venuto a trovarlo a Thula Thula. E che dire del coraggio dei ranger David e Brendan, dei contatti con la cultura zulu, degli incantesimi delle streghe, delle prodezze di Max, fedelissimo Staffordshire, e delle moine di Bijou, la cagnetta di Françoise? Qui possiamo soltanto rimandare al libro. Lawrence Anthony, morì improvvisamente d’infarto a sessantuno anni, il 2 marzo 2012, tre anni dopo aver pubblicato questo libro. Due giorni dopo la sua morte i due branchi di elefanti presenti a Thula Thula, sparsi in zone remote della riserva, si presentarono a casa di Lawrence e Françoise dopo un viaggio di dodici ore. Per due giorni vegliarono l’amico scomparso. Il pellegrinaggio si ripeté nel 2013 e nel 2014. Stesso giorno, stesso posto, stessa ora.
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