Una piccola storia tramandataci da una confraternita di Sufi è un ottimo spunto di riflessione per il momento presente. Assomiglia a quella resa nota dal grande successo discografico di Roberto Vecchioni, «Samarcanda» ma, mentre in quella potente metafora della condizione umana esistenziale ci si riferiva al destino individuale, questa contempla un destino collettivo. Il nostro. Adesso. La storia narra di un uomo che incontra la Morte, che gli riferisce di avere un appuntamento importante, e gli dice dove. Si tratta di una delle città più floride dell'Arabia, e il suo compito è di sterminare diecimila persone. L'uomo, terrorizzato, annuisce. La Morte, ineffabile, svanisce, e s'avvia a compiere la sua missione. Ma, con clamore in tutto il mondo, i morti, in quella città, saranno non diecimila, ma dieci volte tanto. Anni dopo, quando la Morte viene a prendersi quell'uomo che per caso la incontrò, ne ascolta l'ultimo desiderio. «Morte, sto per abbandonarmi a te – dice l'uomo – ma prima voglio che mi riveli perché, la volta che ci incontrammo mi dicesti di dover uccidere diecimila persone mentre ne hai uccise centomila». La Morte replicò sbrigativamente: «Quanto sbraitate, uomini, senza cercare mai di leggere la verità. Io ne ho uccisi, come ti dissi, esattamente diecimila. Gli altri li ha uccisi la paura».
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