Milano, settembre 1992 — Com'è sembrata lunga questa notte. Mi pare passato così tanto da quando siamo arrivati qui, ieri sera, mio marito e io. Lui, è nato all'alba. «Maschio!», ha esclamato l'ostetrica. Aveva già gli occhi spalancati: ci siamo scambiati, mi è parso, uno sguardo sbalordito. (La strana sensazione di un ritrovare qualcuno da sempre conosciuto).Ora fa appena giorno. Nella luce incerta dell'alba potrei finalmente dormire in pace, come una gatta che sappia la sua cucciolata al sicuro. Ma dal fondo di un corridoio si avvicina un rumore sempre più forte, lacerante, mai sentito. Mi affaccio: è un carrello carico di neonati affamati, che urlano nell'ora della poppata. Dieci bambini rossi in volto, soffocati dal loro stesso grido. Non è un piangere, è un impazzire di fame, e forse anche di desiderio: di una madre di cui già sanno la pelle, e il ritmo del cuore. Sembrano un nido di aquilotti tanto strillano, i neonati nei vecchi corridoi di una maternità di Milano.Ciascuno viene dato alla madre. Improvvisamente, silenzio. E poi, saziata la fame, crollano addormentati fra le sue braccia, come ubriachi, sfiniti. Domattina sarà lo stesso. L'urlo colmerà i corridoi. Coro di furia e di gioia. La voce della vita stessa ho sentito, questa mattina, all'alba.
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