Tacciono le voci, si spengono le luci... E in giro non si vede più nessuno, neanche l'uomo in frac. Coprifuoco è la parolaccia che non ti aspettavi, nell'Italia del 2020, senonché pure stavolta abbiamo il nemico alle porte, anche se non bombarda con fragore ma si insinua subdolamente, silenzioso, approfittando della nostra dabbenaggine. Visto che siamo incapaci di non assembrarci nelle piazze e fuori dei bar, giovani e meno giovani, tutti allegri e spensierati, avvolti e travolti da un delirio di invulnerabilità... allora tutti a casa e guai a mettere il naso fuori.
Coprifuoco, come dopo il 25 luglio 1943. Come a Londra durante la Prima guerra mondiale. Come nel Medioevo, quando all'imbrunire vigeva la saggia regola di porre un coperchio di ghisa sul focolare per evitare incendi accidentali che allora sarebbero stati devastanti. Le parole rivelano molto su chi le usa. In francese couvre-feu, in inglese curfew, in italiano coprifuoco: il termine è lo stesso, dall'oggetto (il coperchio sul fuoco) al suo effetto (oscuramento). I tedeschi non lasciano margini a dubbi o fraintendimenti e ordinano die Ausgangssperre, il "divieto di uscita", e nessuno può dire di aver capito male.
Tutti tappati in casa, dunque, ma forse da mezzanotte, non dalle 21 come nel 1943. Potremo tenere le luci accese, guardare la tv e non oscurare le finestre con la carta di giornale. Senza le candele, che comunque creano un'atmosfera di dolce intimità, ma alla lunga nuocciono alla vista e affumicano le pareti. Non sentiremo l'approssimarsi del sordo e minaccioso rimbombo degli scarponi chiodati sul selciato. Semmai, chi da anni cerca di dormire avendo la sciagura di abitare sopra i luoghi delle starnazzanti bevute notturne, dove si ammassano a dozzine fino all'alba, finalmente potrà scoprire l'ineffabile gioia di un sonno sereno, senza tappi nelle orecchie né telefonate frustranti ai carabinieri: "Mi chiede quanti sono, maresciallo? Sono come i persiani alle Termopili: mandate gli idranti, i blindati, meglio ancora gli spartani". L'insonne, proprio come in quel 1943, potrà salire in soffitta e sintonizzarsi su Radio Londra: "Giuseppi vede le stelle... I meloni sono acerbi... Il capitano fa testamento...". Basta un po' di fantasia.
Per i trasgressori privi di valido motivo – medici, levatrici, preti con l'olio santo... – allora le pene erano severe. Ci furono anche dei morti. La Stampa di Torino racconta due casi accaduti in città. Vicende emblematiche: uno fu un uomo che all'alt si mise a correre, preso dal panico, facendosi sparare alla schiena. Il secondo caso descrive un'indole sempre presente nel popolo italico: una famiglia è assiepata sul balcone; i soldati intimano di rientrare in casa e oscurare le finestre; moglie e figli obbediscono ma il capofamiglia inveisce, protesta, replica che lui fa quello che gli pare, oggi forse direbbe che la guerra non esiste ed è un'invenzione del regime, sbraita... Fatto sta che, dopo l'ultimo vano avvertimento, i soldati lo centrano in pieno petto, uccidendolo.
Passiamo al 1955. Il coprifuoco è un lontano ricordo ma a mezzanotte in città, ugualmente, mesta e ineluttabile la vita continua a spegnersi, nella canzone più bella di Domenico Modugno, Vecchio frac. Moriva la città, stava per morire un autentico principe suicida, alla cui tragedia il testo si ispira. «È giunta mezzanotte / si spengono i rumori / si spegne anche l'insegna / di quell'ultimo caffè / le strade son deserte / deserte e silenziose / un'ultima carrozza / cigolando se ne va». Al posto della carrozza metti un monopattino elettrico, e ti accorgi che Domenico Modugno, 65 anni fa, era come avesse previsto tutto.
© Riproduzione riservata
ARGOMENTI: