sabato 9 maggio 2020
Tra le tante, troppe, "leggende nere" che circolano imperterrite sul pontificato di Giovanni Paolo II, c'è quella secondo cui il propagarsi incontrollato dell'Aids in Africa sia stato dovuto al suo ripetuto "no" all'uso del profilattico. Una bugia di proporzioni astronomiche, smentita sia dalla scienza, e parliamo di medicina e di statistica, sia dal fatto che le uniche realtà africane dove l'epidemia non è andata fuori controllo sono quelle in cui esistono presidi sanitari gestiti dalla Chiesa cattolica. Eppure, la leggenda regge, basterebbe fare un giro su Internet per rendersene conto. E quando nel 2009, andando in Africa per la terza volta e ricordando "il tanto" che fa la Chiesa, Benedetto XVI disse che l'Aids «è una tragedia che non si può superare solo con i soldi, non si può superare con la distribuzione di preservativi, che anzi aumentano i problemi», tornò ad scoppiare il finimondo. Il problema, allora come oggi, è che di "certe cose" non si può parlare. Anche perché, senza voler fare né dietrologie né credere a teorie complottiste, è fuori di dubbio che gli enormi interessi economici in gioco hanno sempre pesantemente condizionato la strategia della lotta all'Aids. D'altra parte, non sorprende, purtroppo, che dietro a ogni emergenza ci sia sempre qualcuno che cerchi di trarne un vantaggio. Tanto per dire, nella crisi causata dal coronavirus, abbiamo visto che cosa è successo con le mascherine o con i disinfettanti. E non solo a livello interno, ma anche tra nazioni, con carichi di presidi medicali bloccati su questa o quella frontiera, a certificare piccoli e grandi egoismi. Ed è molto probabilmente alla luce di ciò che domenica scorsa Papa Francesco ha assicurato di «appoggiare e incoraggiare la collaborazione internazionale che si sta attivando con varie iniziative, per rispondere in modo adeguato ed efficace alla grave crisi che stiamo vivendo». Ciò perché, ha aggiunto, «è importante mettere insieme le capacità scientifiche, in modo trasparente e disinteressato, per trovare vaccini e trattamenti e garantire l'accesso universale alle tecnologie essenziali che permettano ad ogni persona contagiata, in ogni parte del mondo, di ricevere le necessarie cure sanitarie».
Quasi un avviso ai naviganti, per così dire, quello lanciato da Bergoglio. Ad avvertire che nessuno deve nemmeno provare, vista la crisi senza precedenti in corso, ad approfittarne. Perché non c'è dubbio che con una pandemia di questa portata e decine e decine di laboratori in competizione per trovare il vaccino per immunizzare, si spera, tutta la popolazione mondiale, qualcuno potrebbe essere tentato di vedere nella situazione il business del millennio. Anzi, qualcuno ha già provato a ritagliarsi in anticipo il proprio tornaconto, se è per questo. Purtroppo è cosa nota. Sempre nel 2009, nel suo messaggio per la Giornata mondiale della Pace, Benedetto XVI, nell'addebitare alla «speculazione mondiale» una gran parte della responsabilità della fame nel mondo, ammoniva che «la globalizzazione va vista come una occasione propizia per realizzare qualcosa di importante nella lotta alla povertà». La globalizzazione, infatti, «rivela il bisogno di essere orientata verso un obiettivo di profonda solidarietà che miri al bene di ognuno e di tutti». È quanto Francesco, in termini diversi, ha ribadito una settimana fa. Cedere oggi all'egoismo della speculazione invece che impegnarsi per il bene comune sarebbe non solo odioso, ma una sconfitta per tutta l'umanità.
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