La decisione del Comitato di presidenza del Csm di non aprire, allo stato degli atti, una "pratica" di incompatibilità ambientale o funzionale in relazione alla cosiddetta "inchiesta Consip" non meriterebbe di per sé un particolare commento, in quanto sarebbe stato difficile ipotizzare una diversa decisione: in presenza di indagini tuttora in corso, e non essendo emersi profili problematici concernenti comportamenti di singoli magistrati e uffici giudiziari (bensì l'eventuale errore o infedeltà di un ufficiale di polizia giudiziaria), non vi è infatti spazio per un intervento del Csm sulla singola vicenda. Anzi, siffatto intervento sarebbe fortemente censurabile, posto che il compito del Consiglio è garantire l'imparzialità, l'indipendenza e la serenità della funzione giurisdizionale.
Eppure, da alcuni giorni, la domanda su cosa avrebbe fatto il Csm rimbalzava tra stampa e vari media. Causata dalla forse poco meditata richiesta di apertura della relativa pratica, ma altresì da un perdurante e generalizzato difetto di conoscenza su compiti e ruolo del Csm.
Intervenire su singole decisioni dell'attività giudiziaria o, peggio, su veri o presunti dissensi tra diversi uffici giudiziari non solo non è coerente con le competenze costituzionalmente assegnate al Consiglio superiore e sviluppate dalla legislazione e dalla normazione secondaria, ma costituisce una palese violazione dei principi della Costituzione (unica deroga a tali principi è l'esistenza di provvedimenti abnormi, dei quali il Consiglio può e deve valutare possibili ricadute sullo status di magistrati interessati).
Inoltre è poco saggio, perché suscita attese improprie nei confronti del Csm, rischiando anche di far apparire il rispetto dei principi e delle regole costituzionali come tiepidezza, pavidità o peggio frutto di valutazione politica a seconda della fattispecie. A ciò si aggiunge che eventuali conflitti di competenza o contrasti procedurali e organizzativi tra Procure della Repubblica trovano soluzione nell'esercizio delle attribuzioni della Procura generale presso la Cassazione e, a livello infradistrettuale, nei compiti di vigilanza dei Procuratori generali (opportunamente la deliberazione del Comitato di presidenza richiama l'art. 118-bis, disposizioni di attuazione del C.p.p., in tema di coordinamento delle indagini). Senza contare che il Csm, perfezionando le vigenti risoluzioni sull'organizzazione degli uffici di procura, potrà sempre precisare i rapporti tra questi e polizia giudiziaria.
Insomma, così come vanno evitati e stigmatizzati i processi penali celebrati non nelle aule giudiziarie, ma in studi televisivi, del pari vanno evitate, da parte istituzionale, invasioni di campo e aperture di pratiche "virtuali", cui non corrispondono poteri e competenze legittimamente esercitabili. C'è già sufficiente confusione nel dibattito pubblico sulla giustizia, senza che le istituzioni la alimentino.
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