mercoledì 22 aprile 2015
«Mi chiedo se la cosiddetta teoria del gender non sia anche espressione di una frustrazione e di una rassegnazione che mira a cancellare la differenza perché non sa più confrontarsi con essa». Queste ferme parole di Papa Francesco, pronunciate nell'udienza pubblica di mercoledì 15 aprile, incoraggiano a non farsi intimidire dalla «colonizzazione ideologica» (Papa Francesco) che i fautori della teoria del gender stanno tentando nel mondo.Abolire la differenza tra il maschile e il femminile auspicando una sorta di neutralità sessuale è una guida all'infelicità, oltre che un'aberrante contorsione mentale.È bene attrezzarsi culturalmente per non farsi intimidire da questa pervasiva campagna d'opinione, e un ottimo sussidio bibliografico è Il maschio selvatico/2, di Claudio Risé (San Paolo, pp. 288, euro 14,50) nuovissima edizione, aggiornata e ampliata, di un libro di grande successo fin dal suo primo apparire, ventidue anni fa.Il titolo non deve far pensare a un neandertaliano vestito di pelli e con la clava in mano: il maschio “salvadego”, per dirla con Leonardo da Vinci, è l'uomo che conosce la natura profonda e incontaminata, è il tipo umano capace di “salvarsi” sia fisicamente sia spiritualmente. Proprio la natura è «lo scenario simbolico dell'incontro tra maschile e femminile»: «l'amore profondo tra uomo e donna è un profondissimo evento naturale, non un prodotto culturale. Anche se la cultura lo racconta e lo arricchisce».L'ideologia del gender «mette sotto scacco non solo la natura, cui si cerca di sostituire un mondo totalmente "fabbricato", costruito da strumenti e processi meccanici e tecnici, ma anche l'uomo e la donna, l'essere umano sessuato».È affascinante seguire Risé nelle sue incursioni nei miti celtici, accompagnarlo mentre ripercorre l'iniziazione di Parsifal, ascoltarlo quando commenta le Elegie duinesi di Rilke. E le sue argomentazioni sono suffragate dagli esempi attinti dalla sua esperienza di analista: un sogno può rivelare molto di più di ciò che percepiamo a livello di coscienza.Di particolare interesse le pagine in cui l'autore mette a confronto due antropologi, le cui ricerche hanno valore anche per gli psicologi: Norbert Elias, «studioso della civiltà delle buone maniere», e Peter Hans Duerr, conoscitore della Wildnis, «la condizione selvaggia». Risé, come facilmente si deduce dalle cose fin qui dette, propende per Duerr, dato che la civiltà delle buone maniere «produce solo un sistema di inibizioni altamente sofisticato, che allontana l'uomo dai suoi contenuti originari e dai suoi più profondi orientamenti morali». Non si tratta, certamente, di vagheggiare un ritorno alla foresta, ma di prendere coscienza che la riduzione della natura a mero spazio di piacere, come impone l'ideologia egemone, esprime un'immagine di uomo «regredito a un'imitazione dell'infanzia, incapace di partecipare alla realtà se non in termini di godimento protetto».Invece, «nella natura selvaggia, e nella ricerca di essa dentro di sé, l'uomo cerca e trova la non eludibile contiguità tra vita e morte, tra gentilezza e ferocia, la conoscenza della realtà propria dell'istinto, cacciato lontano da ogni civiltà delle buone maniere».Tutto questo, sostiene Risé, è molto lontano da qualsiasi romantico «smarrirsi nel primitivo». Duerr insiste molto sul ritorno, dopo un'arcaica esperienza di pienezza, alla dimensione abituale, e ricorda il consiglio di Diderot di «indossare la giacca del paese straniero pur conservando nell'armadio la giacca in uso da noi».Il libro di Risé raccoglie la sfida che l'ideologia del gender, contrastata anche dagli omosessuali che non si sentono rappresentati dalla lobby LGBT (Lesbiche, Gay, Bisessuali, Transessuali) ha lanciato con grandi risorse mediatiche, e prende atto che «all'uomo si chiede, e spesso si impone con forza, di rinunciare a essere maschio. Questo diktat è oggi all'origine di buona parte dei disturbi presenti nel mondo maschile».
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