«Se vuoi che la tua parrocchia sia su Facebook crea una pagina. Ecco perché!». Don Alessandro Palermo, l'autore del blog su cui è appena comparso il post che porta questo titolo ( tinyurl.com/jgromlq ), è a tutti gli effetti un nativo digitale. In più, ha speso una buona parte del suo giovane ministero a studiare i numerosi nodi in cui la pastorale e l'ambiente digitale si incrociano. Per questo, anche se non appartengo alla diocesi di Mazara del Vallo dove egli è direttore dell'Ufficio comunicazioni sociali, il suo perentorio invito mi ha catturato. D'altra parte il titolo dice: «Se vuoi che la tua parrocchia», e in effetti io una mia parrocchia ce l'ho, anzi a ben vedere ne ho due (una elettiva e una territoriale), sebbene non sia il parroco né dell'una né de l'altra. Dunque è anche a me che si rivolge.
A me che, per quanto impegno ci metta, per quanto mi ritrovi ormai a blandire i miei robot con parole dolci quando non mi vogliono aiutare, e per quanto la notte tenga tutti i miei dispositivi digitali sul comodino (tranne la smart-tv, che proprio non ci sta), non sarò mai un nativo digitale. Se non avessi avuto questo limite anagrafico avrei capito immediatamente che quel titolo non è tautologico, bensì spinge a considerare la differenza. Ovvero mi vuole ricordare che, anche su Facebook, non tutto fa brodo, e che le “pagine” non sono i “gruppi”, tantomeno i “profili”, che anzi «a nome di un'istituzione o attività» sono vietati. E siccome la parrocchia è un'istituzione, è la pagina, «ovvero uno spazio pubblico aperto a tutti», il modo di presenza che Facebook le propone, così come alle associazioni, alle aziende e alle altre organizzazioni.
Consiglio l'intero post, che è di una chiarezza adamantina oltre che fondato su solide fonti, a tutti i parroci e parrocchiani, nativi o immigrati digitali, che cercassero strumenti per orientarsi in questa materia. E sorrido al suo autore, dopo aver giocato un po' con il suo pimpante titolo.
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