«Conosci stesso» (gnôthi seautón) era la famosa iscrizione posta sul frontone del tempio di Apollo a Delfi. Il viaggio interiore nell'antichità è segnato da un percorso ininterrotto. Comincia con Eraclito, il quale, dopo aver annunciato «Io ho indagato me stesso», ammette: «per quanto tu possa camminare, i confini dell'anima non li troverai: così profondo è il suo logos» (frr. 1 e 45 Diels-Kranz); prosegue con Socrate: «Io ho indagato non le favole del mito, ma me stesso» ("Fedro" 230 a), si compie con Seneca, il quale dichiara «Io indago prima me stesso, poi questo universo» ("Lettera" 65, 15); approda al cristianesimo con Agostino: «torna in te stesso, la verità abita dentro l'uomo» ("Sulla vera religione" 39, 72). Per la saggezza classica "conoscere se stessi" significava rivendicare l'autonomia interiore (autárkeia) di fronte al mondo esterno e persino di fronte a Dio; praticare la secessione non sull'Aventino ma dentro di sé (in se secedere), nell'ultima trincea della libertà; riconoscere la finitezza e il limite invalicabile della morte immortale (mors immortalis). Oggi nuovi saperi ci soccorrono e ci invadono: psicologia del profondo, genetica, neuroscienze, intelligenza artificiale. Ma l'unità di misura, l'alfa e l'omega, l'oggetto e il soggetto rimane l'uomo: l'essere più stupendo e tremendo come l'ha definito la tragedia greca.
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