mercoledì 13 maggio 2020
Teofrasto, allievo di Aristotele, alla morte del maestro (322 a.C.) gli subentrò alla guida del Liceo, incarico che mantenne fino alla morte, nel 288. Diogene Laerzio attribuisce a Teofrasto più di duecento opere, fra le quali spicca per originalità il trattato Sugli odori, che Giuseppe Squillace, professore di Storia greca nell’Università della Calabria, presenta in nuova edizione, con originale greco a fronte, nel bel volume Il profumo nel mondo antico (Leo S. Olschki Editore, pagine 314, euro 22,00), con squisite illustrazioni e utili cartine geografiche. La prefazione è di Lorenzo Villoresi, il profumiere fiorentino celebre in tutto il mondo per i suoi profumi esclusivi solo su ordinazione. Villoresi, che proviene da studi filosofici, ha una brillante spiegazione: «Filosofi e profumieri hanno avuto da sempre molto in comune, prima fra tutte la ricerca dell’essenza! Dico sempre così quando qualcuno mi chiede come mai, dagli studi di filosofia antica, sia poi diventato un profumiere: continuo la ricerca dell’essenza!». Infatti, Villoresi lascia il nome “profumiere” ai negozianti di profumi: egli è “creatore di fragranze”. Non è da stupirsi, dunque, che il filosofo Teofrasto si sia occupato di profumi entrando anche nelle tecniche di composizione. Il profumo nasce sempre da una miscela di diverse essenze, e l’abilità sta nella giusta dosatura. Per esempio, il profumo di rosa tende a sovrastare le altre essenze, quindi va impiegato cautamente. In una vasta “Appendice documentaria”, Squillace redige un’antologia delle fonti storiche, dando ampio spazio a Plinio il Vecchio, a Ovidio, allo stesso Aristotele, con gustosi aneddoti. Per esempio, Plutarco narra che dopo la battaglia di Isso (333 a.C.) in cui Alessandro costrinse alla fuga Dario, re dei persiani, il vincitore entrò nel bagno dell’accampamento del rivale e «quando vide bacinelle, brocche, vasche, vasi, alabastri, tutto in oro e finemente adorno, e il luogo odoroso in modo soavissimo di aromi e unguenti, rivoltosi agli amici disse: “Questo, a quanto sembra, è l’essere re!”». Peraltro, Alessandro non doveva avere troppo bisogno di profumi perché, secondo Aristosseno di Taranto, il suo corpo emanava di per sé un profumo gradevole, a riprova della sua origine divina (Alessandro si riteneva discendente di Achille, per parte di madre). Ben diversi i costumi degli Sciti, descritti da Erodoto: «Gli Sciti, dopo aver preso i semi di una certa canapa, si introducono sotto le coperte e poi gettano i semi sopra le pietre roventi. Il seme gettato fa fumo ed emana un vapore tale che nessun bagno a vapore greco potrebbe vincerlo. Gli Sciti mandano urla di gioia soddisfatti di questo bagno di vapore. Questo serve loro come bagno, perché non si lavano il corpo con acqua». Andavano direttamente in sauna, a quanto pare. E non mancano arguzie e proverbi. Diogene Laerzio: «A un tale che si spargeva di unguento le chiome, Diogene di Sinope disse: “Bada che il profumo della tua testa non apporti cattivo odore alla tua vita”». Teofrasto riporta che per testare un profumo se ne versano poche gocce sul dorso del polso, proprio come fanno anche oggi i profumieri che probabilmente di Teofrasto non hanno mai sentito parlare.
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