Mi torna spesso in mente un passaggio del romanzo di Georges Bernanos Diario di un curato di campagna. Riguarda un soggetto forse inatteso, che possiamo esprimere con una domanda: i nostri templi devono essere puliti o sporchi? È chiaramente un interrogativo che va inteso in senso simbolico, ma i simboli funzionano veramente solo se ancorati alla realtà che rispecchiano e che sfidano. I templi devono essere puliti o sporchi? Bernanos parte dall'esempio di una sacrestana così zelante della pulizia della chiesa da guardare i fedeli che vi entravano come una minaccia e un disturbo. Un fedele in visita al tempio era, per lei, un'avversità. È in tale contesto che lo scrittore sostiene: «Una parrocchia è forzatamente sporca. Una cristianità è ancora più sporca». Una Chiesa maniaca dell'organizzazione e dell'ordine, ossessionata da un regime di purità, tiene a distanza le persone. Diventa un luogo di cerimonie, statico e ineccepibile come un museo, ma non è più un territorio di celebrazione della vita, esposto alla quotidianità, alla sua turbolenza e alle pedate lasciate in giro. Rimane sequestrata dal formalismo e dallo zelo, invece di farsi canale di misericordia e di gioia. Si concentra sull'odore della naftalina quando dovrebbe contaminarsi, come raccomanda papa Francesco, dell'odore delle pecore.
© Riproduzione riservata
ARGOMENTI: