La vita non smette mai di sorprenderci, nel bene o nel male. Così, in giugno mi troverò a condurre un masterclass sul ruolo del cantante comprimario nel repertorio melodrammatico, un approfondimento riguardante questa figura nelle opere liriche. Chi ha visto almeno un'opera in vita sua avrà notato che esistono, come nel teatro di prosa, ruoli principali e secondari. Tutti attendono il monologo importante a teatro, oppure la romanza famosa. Nessun dorma, Puccini: all'alba vincerò! È abbastanza normale aspettare l'aria famosa, ancora più normale attendere il momento dell'acuto. Quanti altri cantanti solisti, durante la Turandot, rendono coerente l' azione drammaturgica? Ve lo dico io: tutti, a partire dal Principe di Persia che intona un acuto cantando appunto la parola “Turandot” mentre sono intenti a tagliargli la gola. Una sola nota in tutta l'opera. Ma se non ci fosse lui non sarebbe Turandot. Per non parlare delle tre maschere Ping, Pong e Pang, semplicemente indispensabili per la narrazione del libretto.
I comprimari sono indispensabili attori nella vita di tutti noi. Immaginatevi come sarebbe andare a fare la spesa se qualcuno non rifornisse i supermercati, o se il tecnico non vi aggiustasse il telefono. O ancora – restando in ambito teatrale – come potrebbe essere possibile realizzare uno spettacolo di qualsiasi tipo senza luci, audio, costumi, parrucche, scenografia. E nel cinema? Come sarebbe Fantozzi senza la signora Mazzamauro, o i film di Francesco Nuti senza Novello Novelli? Insomma, dopo oltre vent'anni di teatro mi trovo ad approfondire un tema a me molto caro. Come diceva bene Konstantin Stanislavskij, «non esistono piccoli ruoli ma piccoli attori». Questo vale per ogni ambito della vita. D'altra parte, chi canta più note ha meno possibilità di sbagliare. Chi canta solo una nota – o poche – si gioca tutto in pochissimo tempo. Anche se è un comprimario.
(Di Marco Voleri esce oggi per l'editore Castelvecchi il libro omonimo di questa sua rubrica: «Sintomi di felicità», 174 pagine, euro 16.50)
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