Commissioni d’inchiesta e non su commissione
domenica 26 febbraio 2023
Sulla Gazzetta ufficiale del 17 febbraio è stata pubblicata la legge che istituisce una Commissione parlamentare d’inchiesta sul femminicidio. Altre commissioni (monocamerali o bicamerali) sono in gestazione. Il fondamento di questi organismi è nell’articolo 82 della Costituzione laddove si afferma che «ciascuna Camera può disporre inchieste su materie di pubblico interesse». Nella prima legislatura repubblicana (1948-1953) l’esordio fu a Montecitorio con le Commissioni monocamerali sulla disoccupazione e sulla miseria in Italia. Nella seconda (1953-1958) fu la volta di una Commissione bicamerale sulle condizioni dei lavoratori. Il Parlamento usava allora con molta parsimonia questo strumento e lo riservava ad alcuni grandi temi sicuramente «di pubblico interesse». Altri tempi. L’attività ispettiva, peraltro, è così connaturata alle funzioni del Parlamento che nel corso del dibattito alla Costituente si è addirittura discusso se fosse necessario o no esplicitarla in un apposito articolo, come poi è concretamente avvenuto. Questo ha consentito di precisare, al secondo comma dell’art.82, che tali Commissioni devono essere composte in modo da assicurare la rappresentanza proporzionale dei diversi gruppi e che nel procedere «alle indagini e agli esami» esse hanno «gli stessi poteri e le stesse limitazioni dell’autorità giudiziaria». E «ciò per consentire loro – come ha spiegato la Corte costituzionale nella fondamentale sentenza 231 del 1975 – di superare, occorrendo, anche coercitivamente, gli ostacoli nei quali potrebbero scontrarsi nel loro operare». A questo proposito un episodio di particolare incisività avvenne il 2 marzo 1982 nella Commissione parlamentare d’inchiesta sulla loggia massonica P2, durante l’interrogatorio del generale Pietro Musumeci: negli atti si legge che la presidente, l’indimenticabile Tina Anselmi, «dopo aver ripetutamente ammonito il testimone a deporre il vero», ne ordinò «l’arresto provvisorio per falsa testimonianza» e ne dispose «la custodia presso i locali della Commissione fino alla ripresa dell’interrogatorio». L’ interpretazione dell’ampiezza di questi poteri ha avuto.,- successivamente un’evoluzione in senso restrittivo, sia in dottrina che nella prassi parlamentare, anche in seguito alle riforme delle norme processuali intervenute negli anni. Resta poi decisivo quanto chiarito dalla Consulta nella già citata sentenza del ’75: «Compito delle Commissioni parlamentari d’inchiesta non è di “giudicare”, ma solo di raccogliere notizie e dati necessari per l’esercizio delle funzioni delle Camere». Nessun tribunale del popolo di infausta memoria, insomma. Ma l’impatto che le Commissioni d’inchiesta possono avere sull’opinione pubblica resta comunque molto grande e questo talvolta può alimentare la tentazione di utilizzare tali organismi come armi di battaglia politica. Un aspetto molto delicato sul piano degli equilibri istituzionali. Tanto più che l’adozione di leggi elettorali maggioritarie e la stessa riduzione del numero dei membri delle Camere – in assenza degli opportuni correttivi che andrebbero predisposti in questi casi a tutela delle minoranze – esalta il rischio di snaturamento delle Commissioni: da strumento funzionale all’attività legislativa e di controllo del Parlamento, a proiezione della maggioranza governativa pro-tempore. Magari per riscrivere la storia dal punto di vista dei vincitori di turno. © riproduzione riservata
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