«Potresti dirmi come fare per emigrare in Italia?» Questo messaggio mail di un giovane militante della società civile è arrivato a sorpresa nella mia posta. Quasi come risposta a un mio commento sulla morte per malattia di una migrante. Non è comune e neppure raro, ricevere messaggi e domande di questo tipo. Dovrei dirgli subito che la sua legittima aspirazione ha scarse possibilità di realizzazione. Perlomeno non nei termini da lui auspicati e espressi con innocente e giovanile spontaneità. Sarei stato costretto a confessargli che, malgrado l'epico e spesso doloroso passato migratorio del popolo italiano, oggi l'Italia non è così. È una Repubblica fondata sul lavoro (in misura non piccola fornito da immigrati), che ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali e che si tradisce. Fabbrichiamo ed esportiamo armi, istruiamo gli altri sull'arte della guerra e soprattutto vietiamo loro ciò che, prima di loro, abbiamo ampiamente praticato e cioè la mobilità delle persone: 24 milioni di migranti, il più grande esodo moderno.
Dovrei dirgli che, proprio nei giorni della festa della Repubblica italiana, il ministro degli Esteri e della Cooperazione internazionale, Luigi Di Maio, era di passaggio in Niger. Un Paese che è stato ancora recentemente confermato buon ultimo nell'Indice delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Umano. Di Maio ha naturalmente incontrato le autorità nigerine. Nella dichiarazione finale si è confermata la fattiva cooperazione economica dell'Italia, il rafforzamento dell'impegno per la lotta contro la tratta dei migranti e per ridurre il “flusso” degli irregolari in transito. Allo stesso tempo si assicura la protezione degli stessi e dei rifugiati. E si conferma l'inizio della costruzione di una base militare italiana nel Niger, previo assenso del Parlamento italiano. Nelle poche ore passate nel Paese, il ministro ha portato il suo saluto al contingente italiano della Missione Bilaterale di Supporto in Niger, “fiore all'occhiello” della cooperazione in materia di sicurezza nel Sahel e tutta l'Africa.
Di Maio, nella sua visita, ha ricordato che il Niger rappresenta per l'Italia un «partner prioritario» nella regione saheliana, in quanto sua «frontiera meridionale». Un'area cruciale per la stabilità regionale, per il contrasto al terrorismo jihadista e per la gestione dei “flussi' migratori verso il Mediterraneo. Il ministro ha trovato il tempo per salutare i militari, non quello per incontrare e ascoltare coloro che cercano di mettere in pratica i valori del 2 giugno italiano. Tra questi, persone impegnate coi migranti, gente dedita a lenire le sofferenze del rifugiati e i pochi missionari che rimangono come “ambasciatori” di gratuita solidarietà. Giusto e doveroso accogliere padre Pierluigi Maccalli a Roma, ciò che Di Maio e Giuseppe Conte hanno fatto dopo la sua liberazione dalla cattività di due anni nel Sahel. Sembra invece molto meno mediatico e poco redditizio ascoltare gli operatori umanitari nel perduto Niger.
Devo dire all'amico che mi chiede come migrare in Italia che la Repubblica da cui provengo, e che mio padre partigiano ha contribuito a edificare nella libertà, gli impedisce di cercare lì quel che non trova qui. Che andrebbe in un Paese che ha tradito ciò per cui tanti hanno dato la vita. Che le basi militari sembrano più importanti di scuole e dispensari. Devo dirgli di perdonarci, se vorrà, un giorno.
Niamey, 6 giugno 2021
© Riproduzione riservata
ARGOMENTI: