Non so neppure come si chiamasse. A occhio, sarà stato vicino agli ottant'anni, ma poteva perfino averli superati. Abitava in una roulotte senza più gomme, piantata ai margini del giardino pubblico alla maniera di una palafitta sul bagnasciuga. La mattina vedeva passare gli scolari della scuola media poco distante come il sole del giorno nuovo. Più tardi uscivano le madri che andavano a fare la spesa al supermercato di fronte. Il pomeriggio era il regno dell'ozio, il tempo della siesta, una specie di laboratorio spoglio privo di attrezzi utili. Se non faceva freddo l'uomo sedeva davanti al marciapiede leggendo vecchie riviste: poteva essere appassionato di motociclette perché tra i fogli notavo anche schede tecniche di modelli giapponesi, listini coi prezzi dei pezzi di ricambio. Credo si preparasse da mangiare da solo col pentolino da campeggio anche se talvolta i condimenti gli schizzavano sulla camicia piena di macchie e unto. Mi sembrava che nessuno gli rivolgesse la parola. Forse era scontroso e rifiutava ogni contatto. La notte si chiudeva dentro a doppia chiave e la sua abitazione si trasformava in un autoblindo. A un certo punto non l'ho più visto. Prima lui, poi la roulotte. Come se non fossero mai esistiti. Adesso nello stesso punto stanno costruendo un parcheggio.
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