Caro Avvenire, sto scrivendo in aula docenti. Ho la testa che va da una parte, il cuore dall'altra. Cosa faccio? Percorro una via da tanto attesa, che però non dà frutti, oppure intraprendo una strada con una persona che mi fa sentire speciale? Quello che so e son sicuro di volere sono i miei ragazzi. Questa è l'unica certezza. È gia il terzo giorno che non mangio. Tante persone spiritualmente in gamba mi dicono di pregare per la mia scelta. Ma l'unica preghiera che è in me è questa: Dio mio, Dio mio, perché mi hai lasciato libero? Non sarebbe stato più facile proporre una strada definita piuttosto che lasciarmi scegliere? Ogni decisione presa significa prendere qualcosa e lasciare inevitabilmente indietro qualcos'altro. Si chiama vita. Ascolta, Signore, il grido di un tuo figlio.
Un giovane in ricerca della felicità
Caro giovane, la sua lettera ci onora, perché ha voluto condividere con la comunità di Avvenire il suo travaglio interiore confidando di trovare qualche parola di conforto e perché offre a noi l’opportunità di riflettere su un grande tema dell’esistenza: quello della libertà e del suo mistero.
Può affiorare il ricordo, per lei che è docente, del Grande Inquisitore descritto da Dostoevskij nel romanzo “I fratelli Karamazov”. La tragica figura dell’uomo di Chiesa, che arresta Gesù tornato sulla Terra, contesta proprio la libertà che ci è concessa, un fardello troppo gravoso e inutilmente fuorviante. Gli esseri umani, dice, vogliono serenità e sicurezza, il pane e ordini chiari, per una vita lineare, senza turbamenti.
Una visione che tanti autoproclamatisi detentori della verità hanno cercato, nei modi e nelle circostanze più diversi, di affermare a proprio favore. La possibilità di scegliere è invece uno degli elementi fondamentali della dignità di ciascuna persona, al di là di specifiche contingenze che la possono limitare.
La libertà, è vero, ci mette spesso di fronte a un bivio. E qui dobbiamo decidere, che nell’etimologia latina significa proprio “tagliare via”. Andare da una parte comporta recidere l’altra opzione. E qui si manifesta il volto libertario della paura contemporanea della libertà, se mi permette questa ardita lettura.
Vogliamo tutti certamente godere dell’autonomia individuale, scevra di condizionamenti altrui, ma nello stesso tempo temiamo scelte impegnative o definitive, cercando di tenerci aperta una via di uscita o un ritorno al punto di partenza. Accade nelle relazioni, nel lavoro, nei percorsi intellettuali, e anche in altri ambiti meno rilevanti. Qualcuno lo definisce una sorta di infantilismo che caratterizzerebbe i nostri tempi. D’altra parte, noi umani siamo creature neoteniche, ovvero che mantengono a lungo caratteri giovanili sia fisici sia psichici. Quindi, è comprensibile che non vogliamo chiudere porte alle nostre spalle.
Eppure, gentile lettore, la ricerca della felicità passa da decisioni che possono rivelarsi giuste o sbagliate ma che vanno prese. Siamo esseri imperfetti e sappiamo che dovremo fare i conti con i nostri errori. Tuttavia, se abbiamo agito per quanto possibile in retta coscienza, come lei sta facendo, non dovrà rimproverarsi. La libertà è un grande dono che abbiamo ricevuto, e più che ascoltare le sirene della tranquillità di una vita predeterminata guardiamo agli esempi luminosi di coloro che hanno pagato e continuano a pagare un alto prezzo per difendere la libertà della propria coscienza o della propria patria. Gesù, nel racconto di Dostoevskij, non ribatte nulla all’Inquisitore. Quel silenzio è stato interpretato come l’affermazione da parte dello scrittore che alcune questioni profonde non hanno soluzioni semplici o razionali. C’è un limite dell’intelletto nel comprendere. Poi Gesù si alza e bacia il suo carceriere. È la risposta dell’amore che affranca dalle costrizioni e dalle presunzioni, e ci mostra il vero bene. Le auguriamo, caro giovane, di usare testa e cuore per sciogliere i nodi che la frenano verso l’aspirazione alla felicità. Con la sua accorata preghiera è già sulla strada giusta.
© riproduzione riservata
© Riproduzione riservata
ARGOMENTI: