domenica 26 luglio 2020
Oggi si usano tanto quelli gialli, che si appiccicano su un lato, quelli che cadono quando diventano vecchi. Quelli che attacchi al frigorifero per ricordarti cosa manca, quelli pieni di numeri e di frecce, quelli che ci scrivi sopra anche solo per dire ciao, sono uscito, ci vediamo stasera. È incredibile pensare quanti messaggi affidiamo a semplici bigliettini: sono come le foglie della nostra vita. Leggeri che basta uno spostamento d'aria per portarseli via, ma indispensabili riserve di memoria, agende disordinate per appuntare tutto. La colla che hanno alle spalle è leggera e non rovina, afferra senza imprigionare, piace perché non ti incatena a un concetto. E nemmeno a una promessa. Quello che dovevi fare te lo dimentichi spesso, ma se lo scrivi al massimo ti dimentichi dove l'hai scritto. Poi li ritrovi quei biglietti misteriosi, magari quando è troppo tardi, ma è utile comunque. I migliori sono quelli che ti ricapitano tra le mani per caso, nascosti nelle pagine di un libro letto chissà quando: li avevi infilati solo per segnare la pagina, ma ti rivelano una vita. C'è sopra un disegno, un cuore, un «ti voglio bene papi». Non ti ricordi la data, su quei biglietti non c'è mai purtroppo, ma ti ricordi il tempo. E il senso. Sono importanti perché lasciano una traccia. Di chi ami, e anche di te.
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