venerdì 31 maggio 2024
«Mentre proseguivano e incontravano altre persone che conosceva e non conosceva, si ritrovò a domandarsi che senso aveva essere vivi se non ci si aiutava l’uno con l’altro. Era possibile tirare avanti per anni, decenni, una vita intera senza avere per una volta il coraggio di andare contro le cose com’erano e continuare a dirsi cristiani, a guardarsi allo specchio?». La domanda affiora così, verso la conclusione di un romanzo struggente sull’Irlanda e una vicenda dolorosa (gli abusi su ragazze in alcune scuole rette da suore), Piccole cose da nulla (Einaudi) di Claire Keegan, finalista al prestigioso Booker Prize. L’interrogativo scuote il protagonista, Bill Furlong, di fronte all’incontro con il dolore altrui. In quella frase lapidaria - «essere vivi è aiutarsi l’uno con l’altro» - c’è tanta eco del Vangelo, o meglio di un’autentica parola di Cristo non riportata da nessun Vangelo: «C’è più gioia nel dare che nel ricevere». Nella società iperindividualista in cui siamo immersi in Occidente oggigiorno, il gesto del dono gratuito mantiene tutta la sua forza profetica. Il teologo franco-tedesco Christoph Theobald ce lo ricorda: «La gratuità costituisce l’intimità stessa di Dio». Di rimando, un gesto di gratuità umana assoluta rimanda necessariamente a qualche tratto del divino: essa si palesa a noi come manifestazione di Dio. © riproduzione riservata
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI