Molto attratto dalla città di Londra, dopo esservisi rifugiato in fuga dall’invasione prussiana di Parigi, il pittore Claude Monet vi ritornò a più riprese per tre anni, esattamente a cavallo tra Otto e Novecento. A ogni andata si tratteneva qualche settimana, ogni volta alloggiando nello stesso albergo, il Savoy Hotel, dalla cui stanza al quinto piano gli era dato osservare il medesimo panorama. Il ponte di Waterloo, quello di Charing Cross, il Parlamento, la zona sud della città, ovvero la più industrializzata. E soprattutto il Tamigi, avvolto dalla nebbia e di un genere di nebbia diverso a ogni differente ora del giorno. Il risultato di quelle missioni artistiche una serie di dipinti che esposti in Francia ottennero un successo straordinario. Negli occhi del pubblico vibrava tra le altre cose l’ammirazione per quello sforzo inesausto di cogliere le metamorfosi della luce che sono di ogni singolo istante del giorno. Un impegno difficilissimo, che consumava il pittore molte volte scoraggiandolo e gettandolo nella frustrazione come raccontano lettere alla seconda moglie Alice. «Cogli l’attimo» e trasformalo in visione: dove l’attimo cambia sempre, ed emerge nell’opacità diffusa dell’aria nebbiosa, quel cogliere è impresa immensa, di per sé già circonfusa di luce.
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