Città di mare
martedì 13 agosto 2024
Durante i miei diciotto anni napoletani il golfo era il cortile della Sesta Flotta Americana. Quelle navi da guerra, il loro grigio chiaro, facevano parte del panorama. Una portaerei con vista Vesuvio era all’ancora davanti a Castel Dell’Ovo. Da una finestra assistevo a decolli e atterraggi degli aerei da guerra. Il chiasso delle loro accelerazioni sovrastava quello della città. Quando salpava l’intera squadra navale il golfo sembrava vuoto. Napoli era la principale base americana nel Mediterraneo. La città non la percepiva come una minaccia. Lo sbarco di migliaia di loro in libera uscita era al contrario una importante occasione di commercio. La servitù militare dava contropartite. Ricordo il mio stupore quando su un libro ho letto che l’incrociatore italiano, Eugenio di Savoia, aveva bombardato dal mare Barcellona, nell’inverno del 1937, durante la guerra civile spagnola. Qualcosa urta dentro di me: navi che bombardano porti. Un atto scellerato che dovrebbe comportare il divieto di attracco a quelle navi in qualunque altro porto del mondo. Perché le città di costa scambiano con il mare la vita, non la guerra. Perché la stessa acqua collega le città lontane sbattute dalle stesse onde, alzate dallo stesso vento. Perché i corpi di chi è nato sul mare si sono asciugati con lo stesso sale. Perché il mare è una placenta e le terre emerse stanno tutte avvolte nel suo grembo. © riproduzione riservata
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