venerdì 27 marzo 2020
Quando il cinema come spettacolo di massa aveva ancora, nelle convinzioni di molti registi e sceneggiatori, una funzione anche educativa, andarono di moda le biografie, ovviamente assai romanzate, di grandi artisti, grandi scienziati, grandi rivoluzionari e statisti. A Hollywood fu soprattutto la Warner Bros a farne una sorta di genere a se stante, con i film dedicati a Zola, a Reuter, a Pancho Villa e a Juarez, a Marie Curie, a Robert e Clara Schumann, a Chopin, a Edison, più tardi a Michelangelo e a Van Gogh eccetera. Di pari passo, c’erano i film sulla storia del passato, su Giulio Cesare e Alessandro Magno, su Napoleone e la Grande Caterina. E lo stesso avveniva in Europa, con i film in Austria su Beethoven, in Italia su Raffaello o Verdi o Donizetti, in Inghilterra su Disraeli e su Pitt, in Russia su Glinka o, ovviamente, su Lenin e Stalin, eccetera. Si trattò spesso di operazioni di propaganda nazionalistica, di film ai limiti del kitsch o dentro, ma che servirono a far conoscere, grazie anche alla fama degli attori che li incarnavano, quei grandi personaggi che nei libri scuola della mia infanzia venivano generalmente chiamati “benefattori dell’umanità”. Poi, con le mutazioni della società e con quelle del cinema, il “genere biografico” decadde, riportato in vita solo raramente con operazioni occasionali e costose come il Lawrence d’Arabia di Lean, il Mozart di Forman, il Turner di Mike Leigh e pochi altri, più accurati sul piano della fedeltà storica e ambientale e, nel caso di Forman, con il merito, è stato scritto, di aver fatto conoscere Mozart a masse di americani di provincia... Ma i film sugli scienziati e sulla scienza sono stati sempre assai rari, in ossequio alla famosa distinzione di C. P. Snow sulle due culture, con auree eccezioni come il bel film di Michail Romm, negli anni di Chrušcëv, sulla vita quotidiana dei ricercatori scientifici russi, Nove giorni in un anno. Mi colpì allora l’assonanza di quel film con una sorta di romanzo–saggio di uno scienziato, Renzo Tomatis, un amico: un libro che piacque molto a Calvino, Il laboratorio. Tomatis dirigeva un grande centro internazionale di ricerca sul cancro a Lione, che abbandonò, molto soffrendone, poiché governi e fondazioni gli davano i soldi che voleva purché le ricerche riguardassero le cure e non le origini del cancro. Ché sui malati di cancro prosperava e prospera una vastissima “industria” farmaceutica e medica. Un grande studio (la sua tesi di laurea) sulle difficoltà di uno scienziato che scoprì la febbre puerperale e i modi di combatterla, l’austriaco Semmelweiss, lo scrisse Céline e ne trasse un film Gianfranco Bettetini, scomparso da poco, insegnante di cinema alla Cattolica di Milano occasionalmente regista. Non ha avuto l’onore di un biografia cinematografica, mi pare, il Fleming della penicillina, né tanti altri grandi scopritori di virus accaniti nel cercarne i modi di combatterli, i vaccini. Che ci sia presto chi, singolo o gruppo, scopra un vaccino contro il coronavirus! Meriterà ben più di un film!
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