«E vidi un cielo nuovo e una terra nuova: il cielo e la terra di prima infatti erano scomparsi e il mare non c'era più» (Ap 21,1). Cosa è capitato? Viene qui ripreso quanto l'autore aveva riferito precedentemente: «E vidi un grande trono bianco e Colui che vi sedeva. Scomparvero dalla sua presenza la terra e il cielo senza lasciare traccia di sé» (Ap 20,11). La sete di novità che c'è nel cuore umano non riguarda solo lui stesso, ma si dilata al cosmo intero. Questa aspirazione a qualcosa di definitivamente e totalmente grande non è destinata alla frustrazione. La sete di una creazione pienamente nuova viene messa in atto non solo in risposta al desiderio di pieno cambiamento di cui l'uomo ha bisogno. Essa è implicita in quanto Gesù ha realizzato nella sua morte e risurrezione. Nessuna novità sarebbe possibile a prescindere dal mistero pasquale. È quel fatto centrale della storia, che tutta la trasforma in vicenda salvifica, a generare un ambiente assolutamente nuovo per la relazione Dio-uomo. Se l'alleanza è fatta nuova nel sangue di Gesù (Lc 22,20; 1 Cor 11,25) essa vigerebbe in modo sproporzionato per difetto nel contesto che il peccato ha sottomesso (Rm 8,20). L'alleanza nuova abbisogna di cieli nuovi e terra nuova. Dalle prime generazioni cristiane questa era l'aspettativa: «Noi infatti, secondo la sua promessa, aspettiamo nuovi cieli e una terra nuova, nei quali abita la giustizia» (2 Pt 3,11).
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