La fantasia ci salverà. Siamo costretti all'isolamento, chi in compagnia, chi in solitudine. Soprattutto i secondi sanno come fare. La fantasia consente di essere fisicamente qui ma, con la mente e il cuore, altrove. Allora possiamo immaginarci dove non siamo ma sarebbe piacevole o sgradevole essere; possiamo immaginarci fughe in un isolamento desiderato, voluto e cercato; oppure un isolamento imposto e subito, da cui evadere. Solitudine. Una sola parola in italiano, ma due in inglese: la parolina solitude, la solitudine scelta: la parolaccia loneliness, la solitudine subita. La fantasia più feconda ha però bisogno di un catalizzatore che la attivi e la lasci galoppare a briglia sciolta. Nei nostri giorni di quarantena, niente di più facile. Romanzi e film sulla solitudine di entrambi i generi se ne sono a bizzeffe e per tutti i gusti. Stavolta, poiché la fantasia è appannaggio soprattutto dei bambini, e fortunato è chi non si è scordato di quando lo era e ogni tanto riesce a ritornare tale, largo all'avventura. Sceglie di lasciare la compagnia degli uomini, della quale ha perso il gusto, Jeremiah Johnson, protagonista del film omonimo di Sydney Pollack del 1972, che arriva in Italia con il titolo di Corvo Rosso non avrai il mio scalpo. Robert Redford, giovane, barbuto e di pelli vestito, interpreta un personaggio realmente esistito, il terrore degli indiani Corvi. Al termine della guerra con il Messico, parte per le Montagne Rocciose. Condivide per alcuni tratti la sua solitudine con una moglie indiana e un orfano. Ma la sua è la storia di una solitudine che diventa cammino verso una simbiosi totale con la natura. Dalla poltrona di casa alle montagne dello Utah, una bella esperienza.
Fugge dalla guerra anche il tenente John Dunbar sul finire della Guerra di Secessione. Si fa inviare nel remoto avamposto di Fort Sedgwick, ai confini con il Nebraska, che trova abbandonato. Non montagne selvagge ma sterminate pianure, il territorio dei Lakota. Il film è Balla coi lupi (1990) e anche qui la solitudine è l'occasione per un viaggio verso un altro mondo, il cambiamento esteriore diventa cambiamento interiore. La nostra quarantena ci farà scoprire un mondo nuovo, dentro di noi e attorno a noi?
Non scelgono di naufragare i naufraghi. Il più famoso è Robinson Crusoe, protagonista del romanzo di Daniel Defoe (1719). Le sue avventure hanno il centro nell'isola deserta al largo del Venezuela dove Robinson, già mercante di schiavi e proprietario di una piantagione in Brasile, da ottimo inglese civilizzato riesce con la volontà e l'ingegno a ricreare il suo mondo, vincendo ogni sfida. Più traumatica la "versione" contemporanea di Cast Away (2000), il film in cui Tom Hanks naufraga dal cielo e si arrangia, contro ogni pronostico, fino a farsi dentista di se stesso. Torna cambiato dentro, oltre che sensibilmente dimagrito.
Un romanzo lisergico, in cui il recluso nella sezione più crudele di San Quentin compie viaggi nelle sue vite precedenti, è Il vagabondo delle stelle (The Star Rover, 1915) di Jack London. Il protagonista evade procurandosi la "piccola morte" e vivendo vite altre, anche se sue. Per qualcuno un pasticcio, per altri una genialata. E poi? Alla fine rimane il romanzo per noi più ricco di spunti: Il sole nudo (1956) di Isaac Asimov, con due società contrapposte: sulla Terra l'umanità vive in formicai sotterranei, con la fobia dell'aria aperta; sul pianeta Solaria è tutto il contrario e i pochi uomini, serviti dai robot, vivono isolati con la fobia dell'altro. Nessuno dei due mondi sembra desiderabile. Sono entrambi inquietanti e minacciosi: quello che è meglio non diventare.
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