Ieri mattina la notizia di un'insegnante di Milano di 54 anni, Vittoria Patti, colpita da meningite e in grave pericolo di vita, era sui siti web di agenzie e quotidiani. Quello che non c'era è che a distanza di pochissime ore dal ricovero, avvenuto mercoledì, tante persone, compresa una porzione della Rete, si erano già mobilitate in una catena di preghiere per la sua guarigione. Anche se il Signore, come si è saputo intorno alle 13, aveva su di lei un altro disegno.
Questa catena è stata anche digitale perché Vittoria Patti, apprendo dal blog-crocevia di don Mauro Leonardi ( tinyurl.com/gnfdoo4 ), aveva una vita da blogger, anche se, negli ultimi anni, piuttosto rallentata, forse spostata sui social network. E dei suoi quattro blog uno era di argomento religioso: con il titolo indiano di «Pokankuni», un suo nickname ( tinyurl.com/j2d2fbp ), e il sottotitolo che recita «Cosa c'entra la fede con la vita?». Leggervi oggi, nel momento della prova più estrema, «l'idea è che la fede c'entra eccome. Altrimenti a che serve? Che me ne faccio?», non lascia indifferenti. L'ultimo post, che risale a prima di Natale, si interroga sulla contraddizione tra l'esigenza di comunicare la fede vissuta in prima persona, a motivo della preferenza che il nostro tempo dà ai testimoni rispetto ai maestri, e il rischio di autoincensarsi: «A differenza della neutra ricerca di un parcheggio o di una caffettiera, che posso raccontare serenamente, la ricerca di Dio è cosa talmente buona che è impossibile parlarne in pubblico senza dare l'impressione a se stessi e agli altri di un compiacimento».
Non è facile descrivere quanto stridono gran parte delle cronache della malattia e della morte, tutte concentrate a dire non di lei ma dell'infezione che le è stata fatale, con i riflessi della sua vita e del suo sentire che la Rete lascia intendere. Dove, a maggior ragione ora che la sua «talmente buona» ricerca di Dio si è conclusa tra le braccia del Padre, non si vede un compiacimento, ma una limpida testimonianza.
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