Tempi duri per i luoghi di culto e per chi li frequenta. Non solo nei Paesi dove la fede e le pratiche religiose sono da sempre combattute o a rischio. Ma anche nella vecchia “Europa dei diritti”, quella stessa Europa che si prodiga con tenacia e zelo per dare spazio a sempre nuove “libertà” individuali (eutanasia, aborto “ad nutum”, utero in affitto…), ma assiste quasi in silenzio e passivamente allo sgretolamento dei suoi antichi valori fondanti. Tra questi, appunto, la possibilità di professare pubblicamente la propria fede e di compiere atti di culto negli edifici ad esso destinati, senza il timore di subire persecuzioni o pubbliche manifestazioni di disprezzo. Se si eccettuano casi eclatanti di attacchi cruenti ed efferati, è sempre più raro che devastazioni e vandalismi ai danni di chiese o cimiteri, ma anche di moschee e sinagoghe, vengano alla ribalta delle cronache. Le autorità nazionali e gli organi di polizia li registrano come routine e quasi mai trovano e ne puniscono gli autori. Classificati genericamente fra i crimini d'odio, stentano anche a trovare spazio nelle statistiche e la loro segnalazione si deve per lo più ad associazioni di difesa delle diverse comunità di credenti nei singoli Paesi e meno di frequente alle istituzioni religiose ufficiali. Verso la fine di agosto, in occasione della Giornata internazionale promossa dall'Onu per commemorare le vittime degli atti di violenza a sfondo religioso, l'Ufficio per le istituzioni e i diritti umani dell'Osce (l'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) ha tenuto a ribadire che «gli attacchi ai luoghi di culto vanno contro la lettera e lo spirito del diritto alla libertà di pensiero, coscienza, religione o credo». Quest'anno il vertice Osce ha colto l'occasione, anche per sottolineare che l'attacco russo all'Ucraina ha già provocato secondo le ultime stime 175 danneggiamenti o distruzioni di siti del patrimonio culturale. E che in ben 75 di questi casi i bersagli sono stati edifici religiosi. Al tempo stesso ha ricordato che, nell'insieme dei crimini d'odio segnalati, il 51% trova motivazioni religiose. Di qui l'appello ai governi affinché i luoghi di culto siano meglio protetti, «per garantire che le comunità sappiano che il loro passato è rispettato e il loro futuro è al sicuro».
Obiettivo non facile, se solo si pensa alle 45mila chiese della Francia, dove nel 2020 oltre 150 di esse hanno subito assalti, devastazioni o incendi. O anche soltanto al “piccolo” Belgio, dove cappelle e altri luoghi di preghiera cattolici sono entrati nel mirino al ritmo di uno a settimana. Senza contare l'Irlanda del Nord, dove la polizia ha censito fra il 2016 e il 2020 601 attacchi. Già perché i dati, pur se incompleti, parlano chiaro: da alcuni anni in qua i bersagli largamente preferiti da vandali e odiatori seriali di credenti sono proprio gli edifici di culto cristiani, specie se fedeli a Roma. I motivi? Qualcuno addita fra le cause scatenanti gli scandali per la pedofilia. Ma forse è anche giusto domandarsi: quando un popolo rinnega solennemente le proprie radici, come stupirsi se poi qualcuno le calpesta?
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