Negli ultimi giorni la Chiesa di Palermo ha preso due volte la parola, in Rete, sul tema della pandemia. Di grande intensità il Rosario che l'arcivescovo monsignor Corrado Lorefice ha presieduto in diretta, mercoledì 27 maggio, dalla basilica di San Francesco d'Assisi, potendo contare, come già i precedenti "Rosari Cei per l'Italia", oltre alla trasmissione di Tv2000 su decine di migliaia di visualizzazioni sulle pagine Facebook dei media Cei ( bit.ly/2AiNDuC ). Di non minore intensità, sebbene rivolta per forza di cose a un'audience di tutt'altre proporzioni, una riflessione di Roberto Garofalo, dirigente dell'Unità operativa per le cure palliative della Asp di Palermo, che l'Istituto di studi bioetici "Salvatore Privitera" (Facoltà Teologica di Sicilia) ha affidato a "Moralia", blog sul sito de "Il Regno", e che "Re-blog" ha ripreso ( bit.ly/3c7uzgp ). Vi si tocca la ferita, tuttora sanguinante, dei morti per coronavirus negli ospedali italiani: «A causa della congestione dovuta al rapido diffondersi del contagio, i reparti di rianimazione sono stati teatro di modalità angoscianti del morire». In tale emergenza è stato però «sottovalutato, se non trascurato o addirittura omesso», quel «diritto al buon morire garantito dalle cure palliative». È qualcosa che accade «quando tutte le risorse umane e le energie disponibili s'indirizzano verso l'ottenimento della guarigione per la maggior parte dei soggetti». E tuttavia non si può trascurare la «rilevanza fondamentale degli aspetti umani legati al morire dignitoso». Il dottor Garofalo affida il sostegno di questa istanza, oltre che alle agenzie educative, ai media e alle istituzioni, alla Chiesa, «la più autorevole espressione della coscienza collettiva sotto l'egida del credo più elevato che l'uomo può esprimere». E nelle sue parole si avverte una qualche eco delle invocazioni di monsignor Lorefice a conclusione del Rosario: «Signore Gesù, dona ai "vinti" di contemplare il tuo volto, […] costanza e consolazione a quanti si spendono per la salute di tutti».
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