Èbello che il nuovo anno delle fiction Rai sia partito con la storia di una donna come Chiara Lubich, anche se il regista Giacomo Campiotti (assieme agli sceneggiatori Luisa Cotta Ramosino, Lea Tafuri e Francesco Arlanch) per la sua Chiara Lubich - L'amore vince tutto, andata in onda domenica in prima serata e ora disponibile su RaiPlay, ha puntato tutto sugli anni giovanili della fondatrice del Movimento dei Focolari (nata a Trento nel 1920 e morta a Rocca di Papa nel 2008), limitando la storia al decennio dal 1943 al 1952, dal dramma della guerra all'approvazione del Movimento da parte del Sant'Uffizio a patto che la fondatrice rinunciasse a ogni incarico di responsabilità. Tutto quello che accade dopo, a partire dal suo reintegro con Paolo VI alla diffusione dei "focolarini" in tutto il mondo, è sintetizzato in alcune immagini di repertorio e in alcune didascalie in coda alla fiction, che come ormai accade sempre più spesso è impostata a flashback, ovvero, nel caso specifico, tutto parte e finisce a Roma, in Vaticano, con l'inizio (1950) e la fine (1952) delle “interrogazioni” di fronte ai membri del Sant'Uffizio. Nel mezzo c'è l'avventura spirituale e umana di una giovane maestra di Trento che negli anni del secondo conflitto bellico, con un gruppo di amiche, si sente chiamata a costruire un mondo migliore, più unito, diventando testimone e fautrice convinta della fratellanza universale come presupposto di dialogo e pace tra gli uomini. In questo senso, al di là di alcuni aspetti romanzati e in parte edulcorati, la fiction di Rai 1, con una convincente e credibile Cristiana Capotondi e un buon successo di pubblico (oltre 5 milioni e 600 mila telespettatori), ci offre l'immagine di una ragazza naturalmente predisposta verso gli altri, che avverte dentro di sé una vocazione incondizionata, che sceglie di consacrarsi laicamente a Dio, che cerca di farsi accettare e affermarsi come donna in una società e in una Chiesa maschiliste, sia pure con le dovute eccezioni come padre Casimiro, il francescano che segue Chiara all'inizio del suo percorso di fede, e l'arcivescovo di Trento, Carlo De Ferrari, a cui si deve l'illuminata constatazione che «qui c'è il dito di Dio».
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