martedì 7 agosto 2018
Il secondo passaggio nel racconto di creazione per preparare le condizioni previe alla vita è l'organizzazione dello spazio (Gen 1,6-10). Essa avviene attraverso due opere di divisione. La prima consiste nel separare le acque sopra il firmamento dalle acque sotto di esso; la seconda nel separare le acque sotto il firmamento perché appaia l'asciutto. Alla fine ricorre la formula di approvazione: «Dio vide che era cosa buona» (1,10). Specialmente in questo caso il ritornello che ritma il racconto è degno di attenzione. Il mare infatti è inserito dentro allo spazio come un residuo del caos originario. Così come nel tempo si ha alternanza di novità, la luce, e rimanenza dello stato caotico previo all'azione di Dio, le tenebre, altrettanto capita per lo spazio. In esso convivono antecedenza, il mare, e novità, l'asciutto. Di fronte al mare l'israelita è turbato. Le sue origini sono nel deserto. Egli è nomade, non marinaio. La massa d'acqua è per lui incontrollabile, non frequentata. Fatta eccezione per l'epoca di Salomone che armò una flotta (1 Re 9,26) il popolo ebraico non ha mai bazzicato il mare, se ne è tenuto alla larga come area non affidabile. Ma questa endemica paura non ha trattenuto l'agiografo dal dire che anche lo spazio, nel quale il mare non è marginale, è cosa buona. Anche il mare riceve il suo nome da Dio.
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