La mia cittadina, la mafia non l'aveva mai conosciuta. Da piccolo, neanche sapevo se la parola si scrivesse con una o due effe. 'ndrangheta, come diceva il galantuomo Sandro Pertini, non la sapevo neppure pronunciare; essendo cresciuto in ambiente operaio, confondevo l'epiteto crumiro, boicottatore degli scioperi, con il termine camorrista e l'espressione sacra corona unita la ritenevo una onorificenza nazionale. C'erano i ricchi e i poveri e già quello era di troppo per me. Nell'ultimo biennio, qui, una tabaccheria è stata incendiata e la malcapitata, nerovestita, è rimasta lì, come se fosse vergognoso persino prenderla in esame. Sempre in questo spazio di tempo, a un bar, che doveva essere inaugurato, è stata crivellata, durante la notte, la vetrina a colpi d'arma da fuoco. Un appartamento è stato poi confiscato alla malavita organizzata. Anche queste vicende sono tutte state lasciate nel limbo, in una sorta di neoacquisita reticenza edilizia. Che fare? scriveva Lenin nel titolo di una sua pubblicazione. Quello che non credo, è che serva aggiungere al danno la beffa. Finanziare folclorismi sociologici sulla legalità, mi sembrano spese inutili ed incresciose. Preferisco Don Ciotti e quelli che non chiacchierano, non cantano e non suonano sul tema, in nome di una qualche onestà.
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