giovedì 7 maggio 2020

È il tempo della speranza, perché in questo momento tutto è rimesso in discussione e, insieme, tutto rischia di rimanere inesorabilmente come prima, ma nel senso peggiore del termine. Le analisi di questo periodo saranno verificate con il passare delle settimane e sarà il futuro, il futuro prossimo, ad avverarle. La situazione attuale può essere analizzata con speranza (la speranza che da questa crisi sanitaria e anche economica possa nascere maggior solidarietà), ma anche, al contrario, con realismo pessimista. Il futuro, sostengono alcuni, riserverà un ulteriore inasprimento delle condizioni attuali di buona parte del mondo.
In questo frangente il vero combattimento, ascetico e spirituale, è basato proprio sulla capacità di affrontare la situazione con speranza. Non lasciarsi andare a visioni estremamente negative, anche se il realismo è d’obbligo, è già un modo per contrastare gli effetti nefasti del virus.
I santi possono davvero aiutarci in questo cammino talvolta impervio. Non solo perché possiamo pregare chiedendo che intercedano per noi e per il mondo, ma anche perché possono offrire un esempio. Pochi giorni fa abbiamo ricordato san Vincenzo Ferrer – sì, ancora una volta un domenicano – che è conosciuto in tutta Europa per il suo dono di guarigioni e di predicazioni. Fu taumaturgo e predicatore in tante regioni europee, come testimonia la la sua iconografia, che si può scovare nei luoghi più impensati. È un po’ come san Cristoforo o santa Rita, ma oggi un po’ meno ricordato. È ancora pregato in molti luoghi e proprio l’anno scorso ricorreva l’anniversario della morte, avvenuta nel 1419 in Bretagna (a Vannes per l’esattezza), dove sono ancora custodite le sue spoglie mortali.
Noti o meno noti che siano, i santi ci danno quella forza che da soli non potremmo trovare, soprattutto in tempi difficili come quelli attuali. Non devono però diventare motivo di fuga, perché ciascuno di noi deve decidersi a diventare santo senza imitare nessuno in particolare. Ricordo bene che il mio confessore di noviziato, un amabilissimo confratello e finissimo intellettuale, mi ripeteva sempre quanto Giovanni XXIII sosteneva: ognuno deve essere santo alla propria maniera. Dio chiama tutti noi alla santità ma nella maniera che è propria a ciascuno. Allora i santi canonizzati ci aiutano a ispirarci, con l'esempio e la loro dottrina, ma poi siamo noi che dobbiamo santificarci nel nostro quotidiano.
La santità non è una scopiazzatura, ma la multiforme grazia di Dio che si manifesta in modo sempre differente in ognuna delle sue creature. A condizione che ogni creatura sia disponibile a essere in relazione profonda con il Signore. Perché in ultima analisi la santità è quella di Dio, tre volte santo. Lui solo è santo, ma con la sua grazia, partecipa alle sue creature la sua natura. Santità, adesso, significa speranza: vivere con le giuste precauzioni, ma nella speranza che Dio è con noi, l’Emmanuele.

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