domenica 23 luglio 2017
«Allarme nel mercato immobiliare. Per colpa dei profughi svalutate le case di lusso. Crollo dei prezzi del 50 per cento nelle zone dei bivacchi. Nel resto della città, invece, boom di investitori stranieri». Questo titolo, che di per sé è già un articolo, è comparso mercoledì scorso su Libero, ed era seguito da una lunga serie di interessanti particolari: «Degrado, mancanza di sicurezza, accampamenti, episodi violenti» che sono «un pessimo biglietto da visita per i milioni di passeggeri e turisti che arrivano a Milano...».
Siamo infatti nel quartiere attorno alla Stazione Centrale, dove «si verificano episodi violenti, furti e scippi che hanno causato il crollo del numero delle compravendite immobiliari...».
Non è tanto la cosa in sé che scandalizza, ma è il tono della descrizione e dei silenzi di Libero, che danno l'impressione di essere un po' caricati, anche se un fondo di verità c'è. Tuttavia, fa divenire di attualità la parabola del ricco Epulone, che organizzava quotidiani banchetti con gli amici, e del povero Lazzaro che giaceva affamato fuori della porta in attesa delle briciole che cadevano dal tavolo, ma non arrivavano mai alla sua portata perché, per il padron di casa, Lazzaro era solo un fastidio e un pericolo di contagio dalle sue piaghe, che un cane pietoso medicava leccandole (Lc 16,19).
Sappiamo tutti come la cosa andò a finire, ma alla parabola bisogna aggiungere la descrizione che Gesù fa, in prima persona, del Giudizio Universale: «Avevo fame, sete, freddo ed ero migrante, ma non mi avete dato da bere né da mangiare né da coprirmi e neppure un angolo in cui passare una notte» (Mt 25,31). Anche qui sappiamo la fine, ma non sarebbe caritativo giudicare e condannare qui i padroni delle case svalutate. Tutti saremmo preoccupati. Meglio suggerire un po' di fraternità che manca del tutto e di preoccupazione per come le cose potrebbero finire.
Nel racconto di Libero non c'è, per i migranti, neppure l'idea di un canile né di una briciola di pane stantio da dar loro come le briciole della parabola evangelica. Bisogna cercare dentro di noi quella briciola di solidarietà che forse c'è, ma della quale spesso neanche noi siamo immediatamente consapevoli.
CAPOLAVORI IN AMACA
Sopra la testata della Repubblica c'è una rubrica – «L'amaca» – su cui si sdraiano i pensieri dell'Autore (Michele Serra). Giovedì scorso era il commento a una foto stupefacente che mostrava una ragazza in minigonna per una stradina di un'antica città. Nell'Arabia Saudita musulmana un simile vestito è scandaloso e severamente vietato a tutela del costume femminile e del buongusto. Per l'Autore, invece, è «un capolavoro involontario» che riguarda non «il solo corso dell'islam, ma il cammino dell'umanità» e «il suo sortire (oppure no) dal patriarcato e il suo concedere (oppure no) la proprietà di se stessa alla metà abbondante degli umani». Non mi pare che le cose stiano così, ma di certo, e anche se esagera, l'islam qualcosa da insegnarci la ha.
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