Pronunciò la parola «cercare» con enfasi e profondità. Voleva infatti dire che in alcuni casi è il fine ultimo della ricerca a dare appagamento oppure qualcosa che si scopriva per caso lungo il cammino. Ma nella religione è il desiderio stesso. È la ricerca a costituire la ricompensa. Altre volte ho citato una battuta che mi disse anni fa uno dei maggiori scrittori francesi del Novecento, il cattolico Julien Green: «Finché si è inquieti, si può stare tranquilli». Nell"orecchio di chi ha un minimo di conoscenza religiosa echeggiano le celebri parole della prima pagina delle Confessioni agostiniane: Inquietum est cor nostrum" Tuttavia il famoso vescovo di Ippona continuava indicando una meta di tale inquietudine: donec requiescat in Te. Il riposo tra le braccia di Dio è l"approdo di una lunga navigazione. C"è, dunque, un porto da raggiungere, un senso e un fine ultimo al nostro peregrinare nella ricerca, come accade appunto ai Magi. Detto questo, è però vero anche quanto afferma - nel testo sopra citato - una sorprendente scrittrice americana Willa Cather nel romanzo breve Il mio mortale nemico (Adelphi). Nella fede la stessa ricerca non è un vano annaspare o un inutile faticare; è già un premio, infonde serenità, dà una prima certezza. Credere e amare sono, infatti, realtà dinamiche che non si esauriscono in un possesso, ma ti spingono sempre oltre. Di loro natura sono sempre in movimento, in tensione, in crescita (e anche talora in flessione). Non per nulla la finale del Cantico dei cantici non è nell"abbraccio definitivo, ma in questo appello della donna all"amato: «Fuggi, simile a gazzella o cerbiatto, verso i monti degli aromi!» (8, 14). Per questo, nemiche della fede e dell"amore sono l"indifferenza, l"inerzia, l"assenza di attesa, di ricerca, di speranza. Anche il Socrate di Platone diceva che «una vita senza ricerca non merita d"esser vissuta».
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