Andrea Monda
Era “italiana” più di quanto ci si potrebbe aspettare, Elisabetta I di Inghilterra.
Conversava senza difficoltà con ambasciatori e inviati del Bel Paese. Preferiva di gran lunga la lingua di Dante allo spagnolo (e persino al latino) quando intratteneva gli emissari del re di Spagna. Uno di questi, una volta, si lamentò proprio dell'abilità retorica della regina. Aveva imparato l'italiano da quei “frati eretici” dei suoi precettori: impossibile negoziare alla pari con lei. E non solo. Sapeva scrivere – e maledettamente bene, avrebbe potuto esclamare Filippo II.
Non a caso, Elisabetta scriveva a re, principi e nobili dal Portogallo alla Cina in questa lingua, spesso proprio per cercare alleanze in chiave antispagnola. Ma scriveva davvero bene, con garbo e gusto, in un italiano che sapeva di toscano con un tocco di veneziano.
L'italiano di Elisabetta era un incubo per la diplomazia del tempo ma anche un miracolo di stile in quella «terza lingua classica» del Rinascimento.
Il libro da poco uscito a New York per i tipi di Palgrave MacMillan ci presenta tutte le lettere scritte dalla regina giunte sino a noi (Elizabeth I's Italian Letters). Le ha riunite Carlo M. Bajetta, docente di Letteratura Inglese presso l'Università della Valle d'Aosta, che per cinque anni ha setacciato gli archivi del vecchio e nuovo continente.
Un lavoro lungo, che ha già avuto importanti riconoscimenti: «ci sono state già alcune recensioni molto positive, e la Modern Language Association of America ha attribuito al libro il marchio di “edizione approvata”».
Sorride, Bajetta, anche perché è la prima volta che questo avviene per un anglista italiano. Ha scovato lettere a personaggi quali Ferdinando I de' Medici, Antonio de Crato (pretendente al trono del Portogallo), Alessandro Farnese, Principe e Duca di Parma (allora a capo delle truppe spagnole nei Paesi Bassi); Massimiliano II, Imperatore del Sacro Romano impero, Wan-Li, Imperatore della Cina e una che Elisabetta scrisse di proprio pugno (oggi sopravvissuta in copia) a Maria de Medici.
Queste lettere ci rivelano una regina davvero “inedita”: avida lettrice di cose italiane, Petrarca e Ariosto per lei sono compagni abituali e citati a memoria.
Troviamo che la sovrana chiede di conoscere se «il povero Tasso» stia scrivendo ancora, e nel caso, di avere qualche pagina da leggere. Al tempo stesso c'è tutta l'“inglesità” di Elisabetta nel suo italiano, il suo essere convintamente protestante e tutta la sua familiarità di lettrice quotidiana dei testi biblici, meditati, assimilati, e citati praticamente ovunque. Elizabeth I's Italian Letters ci mostra una Elisabetta credente, appassionata, molto lontana dall'immagine dell'astuta figlia di Enrico VIII che una certa storiografia ha spesso diffuso.
Una regnante che sa di essere in una posizione difficile. Donna al potere, scomunicata nel 1570 ma che sempre non perde occasione per un saluto cristiano al termine delle sue missive, quasi volesse ribadire di fronte al mondo il suo essere parte, e parte attiva, della cristianità del tempo. na regina che ricorda come il venire a patti in materia di religione sarebbe contrario alla «sodisfattione della Conscientia», e «che tutti i favori di principi mondani ó tutti i Reami ch[e] mi potrebbono dar» non valgono la pace interiore. Una regina che non teme di affermare che «in nessun modo possiamo render cosa più grata a l'Omnipotente Iddio, che in abbracciare una pubblica sicurtà et pace nella Christianità».
Non è poco, specie per questi tempi. Forse dovremmo imparare qualcosa da Elisabetta, l'“italiana” senza paura.
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