Nel linguaggio cinematografi-co, il “campo lungo” è un'inquadratura in cui predominante è l'ambiente, il paesaggio, ma si intravede la figura umana e l'azione che compie. Il titolo In campo lungo è davvero appropriato per il nuovo romanzo di Sabino Caronia (Schena Editore, pagine 144, euro 15,00). È il diario di un viaggio a Gerusalemme che lo scrittore compie per visitare la figlia che si è convertita all'ebraismo e vive in Israele col marito e due figli. Ma non è descritta la meta, sono rivissuti i pensieri dello scrittore durante il viaggio in aereo, una ricapitolazione esistenziale. E il paesaggio? Ci sono i luoghi di precedenti romanzi di Caronia, per esempio Terracina, dove nel 1977 l'autore incontrò Aldo Moro che passeggiava lungo la spiaggia e lo descrisse in L'ultima estate di Moro (2008). Qui, invece, facciamo conoscenza con Gigi Nofi, poeta vernacolare terracinese oggi trascurato anche nella sua città. C'è l'aspro paesaggio di Sardegna dove Caronia, professore di prima nomina, intrecciò amicizie indimenticate e allargò l'immaginario interiore. C'è Parigi, dove lo scrittore si recò, dopo un impegnativo ricovero al Forlanini, sulle tracce di Jim Morrison. Ne riferì in Morte di un cittadino americano (2009), e qui perdura il ricordo della foto che lo indusse a partire: «Jim vi appariva di profilo, affacciato alla finestra della camera da letto dell'appartamento di rue Beautreillis dove sarebbe morto. Vedendo quella foto avevo sentito che era a quella finestra che mi dovevo affacciare se volevo finalmente leggere chiaro dentro di me e che affacciarmi a quella finestra voleva dire in qualche modo anche discendere con Jim nel suo inferno e cercare di risalirne con lui». L'assoluta originalità del Campo lungo di Caronia riguarda non solo il paesaggio spaziale, bensì, e più a fondo, un paesaggio propriamente letterario: lo scrittore vede sé stesso nello scenario della storia della letteratura, non per un confronto ma perché quella è la linfa di cui si nutre. Dunque, c'è Kafka, che Caronia ha reso protagonista di La consolazione della sera (2017), e qui è rivissuto nel viaggio a Gerusalemme sempre rimandato e mai compiuto. Ma c'è molto Borges: «Tra l'apparente confusione dei nostri misteriosi mondi, gli individui sono così bene incastrati in un sistema, e in sistemi così connessi l'uno agli altri in un tutto, che un uomo si espone, scivolando via per un attimo, al terribile rischio di perdere il suo posto per sempre». E non mancano Luzi, D'Annunzio, Chesterton, Alberto Caramella con la sua “Casa della luce”, a comporre uno scenario mai incombente ma vitale. Il tutto con ricordi di famiglia, dei parenti “apparatori” specializzati nelle drapperie decorative delle chiese e, molto commovente, il pellegrinaggio dello scrittore verso Redipuglia per ricostruire notizie di uno zio morto nella Grande Guerra, forse sepolto fra i militi ignoti. E la chiave del romanzo è, forse, in questa definitiva frase: «La sensazione che nel mondo stia accadendo qualcosa a nostra insaputa».
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