In questo mondo non si possono avere simpatie, tanto meno amicizie. Il Conte Alberto Rognoni, maestro di tattica professionale, tuonava: «Non si possono fare figli e figliastri!». E aggiungeva, come Cesare Zavattini: «La verità aaaaaaaa!». La verità, a Inzaghi, avrei dovuto dirgliela prima che arrivasse a Bologna, prima che ci trovassimo (io sono un appassionato rossoblù confesso) con un piede in Serie B. Quasi una certezza, com'è certo che la Juve ha già lo scudetto in bacheca, e non dico «l'ha vinto» perché prevale «gliel'hanno regalato». Scusate la divagazione: a Inzaghi avrei dovuto dire «Caro Pippo, non sono sicuro che quello dell'allenatore sia il tuo mestiere». Non ho avuto il coraggio. Perché Pippo bomber è stato un guerriero ma fuori di quei panni è fragile, sopravvive di gloria, lo vedete nelle conferenze stampa che non gli sembra possibile che gli rivolgano delle domande puntute - per lui cattive - e non si raccapezza quando lo strattonano dialetticamente e lui è sempre sul punto di dire “lei non sa chi sono io”, sostegno culturalsociale dell'italiano “che conta”. Ma perché non avrebbe dovuto accettare una carriera in cui è ben riuscito - salvo dettagli - il fratello Simone? A pensarci prima, era la riflessione da fare subito, valutati i loro trascorsi da giocatori: entrambi attaccanti, Simone con animo da costruttore, Pippo da esecutore. Sparafucile. Quando me lo chiedono dico subito, da sempre :«Un grande attaccante non sarà mai un grande allenatore». Si offese solo Luis Carniglia, uno che girava il mondo a fare sfracelli insieme a Di Stefano e Pedernera e aveva nel curriculum un paio di Coppe dei Campioni vinte con il Real ma i critici maligni precisavano «con Di Stefano, Gento e Puskas». Fulvio Bernardini, che mi voleva bene, non reagiva, fingeva che avessi ragione, tanto lui oltrecchè grande attaccante aveva fatto anche il portiere. Ma io dico: perchè Rivera, Mazzola e Riva non ci hanno neanche provato, a allenare, mentre ci riuscivano il Trap, Bearzot e prim'ancora Herrera e Rocco? Replica: non c'è riuscito neanche Bulgarelli, il “cervello” del Bologna. Dico io: perché non si sentiva istruttore, come aveva vissuto lui il calcio (e lo chiamavano Dottor Gibaud perché era tutto incerottato per le botte prese) non poteva insegnarlo. C'è riuscito alla grande Lippi perché da allievo di Bernardini è poi finito alla Scuola Juve dove ne sbagliano pochi, perché lì si può studiare anche da presidenti e diventare Boniperti. Pippo se ne va da Bologna perché non ne ha azzeccata una, come al Milan, e non sono neppur sicuro che la sua misura fosse Venezia. E gli tocca subire, come al Milan, un successore che si chiama Mihajlovic, uno che sa il mestiere perché l'ha imparato sul campo anche se gli difettano le buone maniere. Il che mi fa pensare che a Bologna hanno mandato a casa Donadoni, vi rendete conto? È che “quelli lì” - dico dei dirigenti, nessuno bolognese, e passi il presidente siculocanadese che paga - volevano un tecnico da dirigere, da manovrare a piacere. Va via Pippo, vadano via anche loro. Anzi, come si dice dalle mie parti, “vadino”. Sono sicuro che la Crusca me lo passa.
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