mercoledì 22 maggio 2013
Incalzato dalle domande di Antonio Carioti, a volte più intelligenti delle risposte, Luciano Canfora pubblica una Intervista sul potere (Laterza, pp. 284, euro 12) interessante per molti versi. Erudito filologo e studioso della classicità, Canfora spazia da Tucidide a Huntington (il teorico dello scontro di civiltà), ed è più convincente come storico e antichista che non come interprete della contemporaneità. Del resto, il suo curriculum, sempre di sinistra, lo colloca di volta in volta accanto al Manifesto, oppure al Pci nelle sue varie denominazioni, o candidato nelle elezioni europee del 1999 con i Comunisti italiani.L'originalità del pensiero canforiano riguarda soprattutto la riflessione sulla democrazia, anzi, sulla post-democrazia, che l'autore vede temperata, fin dall'antica Grecia, da varie forme di oligarchia, vuoi familistica, vuoi aristocratica o comunque elitaria. E, al giorno d'oggi, la caratteristica più visibile dell'assetto post-democratico è, infatti, «la crescente autorità di organismi non elettivi e non soggetti a forme di controllo democratico, ma squisitamente tecnici e strettamente legati al grande potere finanziario sovranazionale, che travalica i confini degli Stati». Non si può dargli torto.Perfettamente a suo agio con la bibliografia internazionale, Canfora sembra meno ferrato in storia della Chiesa e in teologia; per esempio afferma che il dogma dell'infallibilità pontificia sarebbe una pratica di «indottrinamento di massa che fa ribrezzo a qualunque spirito critico». Egli polemizza con il direttore dell' "Osservatore romano", Giovanni Maria Vian, che in un suo libro aveva affermato che il voto del Pci a favore dell'art. 7 della Costituzione (quello che include i Patti lateranensi) fu irrilevante, e non si rassegna neppure quando Carioti gli fa notare che «il risultato fu di 350 voti a favore e 149 contrari, mentre i deputati del Pci alla Costituente erano 104». Ma c'erano una cinquantina di assenti e non tutti i comunisti seguirono le indicazioni di Togliatti. Forse in astratto il fronte filoconcordatario avrebbe avuto comunque la maggioranza». Contrariamente a quanto sostiene Canfora, dunque, il voto sull'art. 7 non è «un regalo enorme di Togliatti al mondo cattolico», bensì, a mio avviso, un regalo di Togliatti al Pci, consentendogli di presentarsi con maschera benevola presso i cattolici.Ma non possiamo, in questa sede, entrare nello specifico di singoli aspetti. È affascinante seguire Canfora quando configura il rapporto tra cittadino e combattente al tempo di Pericle o di Augusto, e quando, seguendo il pensiero "analogico", riesce a riconoscere un «nesso non velleitario fra dinamiche politiche differenti che s'illuminano a vicenda». Equilibrati sono i giudizi sul Risorgimento italiano, "sanguinoso" nella conquista del Sud, e anche sul fascismo, certamente e sempre da respingere, ma senza disconoscere, per esempio, i primi anni di accorta politica estera. Insomma, anche De Felice merita rispetto.Richiesto su come arginare la deriva oligarchica della democrazia (ammesso che la si debba arginare), Canfora, che ritiene un errore l'entrata nell'euro, si limita «ad avanzare un'ideuzza. A mio parere», egli scrive, «il luogo dove le tendenze oligarchiche possono e devono essere messe in discussione è il laboratorio immenso costituito dal mondo della formazione e della scuola». Ma rovesciare tutto sulla scuola, per dirla con Karl Kraus, assomiglia all'eroica decisione di operare i calli di un malato di cancro.​
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