giovedì 24 maggio 2018
La persona più amabile con cui discutere anche di calcio (Sandro Veronesi confermerà) era lo scrittore Manlio Cancogni. Lo "rivedo" anche ora che non c'è più (è morto a 100 anni, nel 2016) nel «salotto marron» anni 60, di una vecchia palazzina in Versilia, a Fiumetto, mentre lo intervisto chiedendogli della sua splendida summa narrativa. Intervista interrotta da una telefonata dell'amico "americano", il dantista Franco Ferrucci al quale Cancogni domandava in contropiede: «Ma la tua Juve vincerà lo scudetto anche quest'anno?». Con Pasolini, condivideva la passione per il Bologna e per il calcio di poesia, e questo in tempi di oscurantismo. «Appartengo alla generazione in cui non si era certo degli intellettuali stimabili se ci si occupava di calcio. Montale teneva la "Gazzetta" nascosta sotto faldoni di poesie. E che Saba poetasse della "solitudine del portiere" non era certo un atto esemplare». Esemplare invece resta "Il Mister", il romanzo in cui Cancogni racconta delle partite degli anni di gioventù al liceo Tasso e della mitica squadra romana del Malafronte. Il protagonista, lo sloveno Zoran, è l'alter ego di Zdenek Zeman. E quando gli chiesi perché proprio il boemo? Non ebbe esitazioni: «Zeman è l'unico che ha avuto il coraggio di denunciare il marcio del calcio. E poi pare sempre che non abbia nulla a che spartire con la partita... È uno un po' come me».
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