venerdì 17 gennaio 2014
Amo le locande di campagna; secondo il vecchio adagio, dove si fermano i camionisti si mangia bene e abbondantemente ed il prezzo è sempre molto contenuto. Gli operai, sono nato in una loro famiglia, hanno il vestito che è un inno al lavoro, come nel Quarto Stato di Pellizza da Volpedo o nei dipinti di Fernand Léger, insuperabile nel rappresentare i lavoratori, dei quali Sironi affresca le fabbriche. Ma è un mondo che non c'è quasi più e che cerca di sostituire l'inganno alla fatica. Capita anche chi è in giacca e cravatta, ma è come a disagio; lui porta la divisa della deferenza, mentre il camionista veste la fierezza del pane faticato. Per via del mio aspetto fisico, mi chiedono dove abbia parcheggiato il camion; ne sono felice e penso che buon sangue non mente. Le volte, prima di andarsene, fanno una partita a carte. Certi giorni, nasce un improvvisato torneo di braccio di ferro. Non sono un bravo attaccante, come nella vita del resto, ma resisto da poter vincere, a volte per sfinimento dell'avversario. Mi viene alla mente Santiago che, nel romanzo Il vecchio e il mare, resiste, con la forza del braccio, per una notte intera. Quello che imparo, stando con questi rudi cavalieri dei bisonti è che, quasi inaspettatamente, fra loro c'è più fede di quanto mai si possa immaginare. Qualcuno, mentre cavalca i chilometri, colloquia col Padreterno, qualcuno ascolta Radio Maria, qualcuno no. Il vento dello spirito soffia dove vuole, anche su e giù per gli infiniti asfalti delle solitudini, lungo le stagioni.
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