Apro a caso Il cacciatore celeste di Roberto Calasso, libro che ho sul tavolo da qualche mese e di cui ho ripetutamente rimandato la lettura. Ma come può succedere, devo proprio al caso se mi trovo davanti pagine che l'autore dedica a questioni che interessano me perché non possono, non dovrebbero, che interessare tutti.Calasso rilegge Platone per parlare del presente e del futuro oltre che, naturalmente, del più remoto passato e non solo ateniese. Si tratta di suoi commenti alle Leggi: «Varcati i settant'anni (…) Platone scrive le Leggi, il più ponderoso, angoscioso tentativo di stabilire per iscritto come dovrebbe essere la società giusta, dopo che per tre volte, a Siracusa, aveva dovuto rinunciare a porla in atto». Ed è in quest'opera che la parola "dio" compare per prima nella fondamentale domanda da cui prende avvio il dialogo: «È un dio o qualcuno fra gli uomini che fu all'origine dell'istituzione delle leggi?».Sembra proprio che Platone ci tenga molto a sottolineare questo discrimine, questo passaggio fra un prima e un dopo, fra una società e cultura per le quali per prima cosa «gli dèi esistono» e la possibilità invece di dimenticare questo e di considerare le leggi una "cosa degli uomini", una norma sociale esclusivamente umana, frutto di convenzioni e di accordi. Ma ormai «i molti», già al tempo di Platone, dimenticano il passato e portano nella società «il nuovo» dei sofisti: anzitutto l'idea di Protagora secondo cui le leggi sono convenzione, sono svincolate dalla natura e dall'ordine cosmico, poiché «l'uomo è misura di tutte le cose».Viceversa, secondo Platone, «il dio è la misura di tutto, in grado supremo e ben più di quanto lo sia l'uomo». Il vecchio Platone è dunque in aperta polemica con il "nuovo", e in effetti Calasso ricorda che con Aristotele, uno degli ultimi allievi di Platone, il divino viene bandito dalla fondazione della norma sociale.Questa storia non ha smesso di dare i suoi frutti. Se la religione diventa parte e strumento della società, mentre in Platone una società può diventare giusta solo se aiuta «a percepire il dio», ecco che la società prende il posto di un dio. Ancora oggi, benché in regimi non totalitari, gli automatismi sociali e le convenzioni legali funzionano come se fossero dogmi religiosi. A nessun individuo è più riconosciuta la capacità di pensare, di esperire qualcosa che sfugga all'ordine sociale.
© Riproduzione riservata