Non sarà la chiave di lettura più gettonata. In effetti sembra una battuta, quasi bonaria: "Ah, quel matto!", e magari fosse così. La follia turba perché non sai da che parte afferrarla, spiazza e coglie di sorpresa. Ma la "follia di Putin" torna e ritorna sui quotidiani, da voci tra loro distanti, come un mesto refrain. «Lo zar folle» è il titolo all'analisi di Paolo Valentino sul "Corriere" (27/2): «Putin identifica il destino della Russia con quello della sua persona» e «nella sua mente (esiste) una realtà parallela». Agghiacciante e folle sul "Corriere" (28/2) il titolo dell'intervista al premier polacco Mateusz Morawiecki: «È finita l'era della pace». E, di fianco, lo scrittore Gary Shteyngart, nato in Russia, rinfocola la doppia, inquietante ipotesi della follia di Putin e della paranoia collettiva che attraversa una larga fetta della società russa: «140 milioni di russi restano per la maggior parte al fianco di un pazzo (...). I culti non si formano da soli, ci devono essere persone che vogliono esserne parte». Ipotesi assurda? Magari, è quanto accadde in Germania e Italia degli anni Trenta del secolo scorso. Sulla "Stampa" (28/2) Stefano Stefanini scrive di un Putin perso «nella paranoia che sembra attraversarlo». Il "Quotidiano nazionale" (28/1) titola in prima pagina: «Siamo alla follia»; gli fa eco il "Giornale" (28/1): «Follia nucleare». Stesso quotidiano, sempre ieri, più in profondità si avventura Roberto Fabbri, sotto un titolo che evoca il capolavoro di Stanley Kubrik del 1964: «Lo zar stranamore. La follie di Putin che agita lo spettro dell'atomica»: «Due anni di autoreclusione causa Covid – scrive Fabbri – lo hanno chiaramente sospinto in un mood paranoico aggressivo». Come dimostra lo psicoanalista Luigi Zoja nelle oltre 400 pagine del suo "Paranoia. La follia che fa storia", «la paranoia ha sterminato più masse umane delle epidemie di peste, ha umiliato e annientato più della collera di Dio». Andrebbe presa sul serio.
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