A poche ore dalla notte fatale, ecco una parolina che può tramutarsi in parolaccia o declinare lietamente in paroletta. I botti sono amati da enigmisti e ludolinguisti in erba perché forieri di facili giochi. Al maschile hanno l'accento tonico grave, bòtti, e scoppiano; al femminile ce l'hanno acuto, bótti, e si riempiono e svuotano, per la duplice gioia di viticoltori e bevitori. Già qui taluni tetragoni epigoni dell'università della vita, quelli che la grammatica chissenefrega la lingua è mia e ne faccio quel che mi pare, vanno in torbida confusione. Non avendo una particolare passione per l'arte – l'unico loro interesse è "quanto vale questa tela?": il denaro come misura di tutte le cose – all'udire "Botticelli" pensano a qualche barilotto di pregiato distillato e quando alla fatal domanda, "Quanto vale?", si sentono rispondere che in verità non ha prezzo, concludono che deve trattarsi di un distillato davvero notevole. Più interessante per costoro è il bottino, quando comprendono che non si tratta di un minuscolo bòtto ma del frutto di una piccola o grande ruberia, materia in cui si muovono più a loro agio. Quanto ai bottoni, essi preferiscono il velcro, nutrendo una passione sfrenata per gli strappi.
Parola ingannevole, mutevole, sbarazzina. Purtroppo nell'imminente notte fatale brilleranno i bòtti che non ci garbano affatto. Non ci terrorizzano certo come può capitare ai cani; né corriamo il rischio di finire con qualche falange in meno – altra parola con cui giocare: Alessandro il Grande mai avrebbe rinunciato a una falange, quindi escludiamo fosse un amante dei bòtti – perché l'unico bòtto che potremmo concederci è quello di una bottiglia stappata con le bollicine che pizzicano il palato e salgono su per il naso e fanno ridere.
Purtroppo la notte rigurgiterà di bòtti; raramente saranno aggraziati, tenui brillii e cascate di luce. Per molti il bòtto deve soprattutto, anzi soltanto fare rumore; più rumore del bòtto del vicino che si è comprato il Suv più grosso del mio e almeno il mio bòtto serva a ristabilire l'equilibrio compromesso. I bòtti devono essere fracassoni e se a qualcuno danno fastidio peggio per loro, quella è gente asociale che non ama neanche strizzarsi nei centri commerciali alla domenica o spalmarsi sulle vetrine degli ipermagazzini di gadget elettronici all'alba del Black Friday né incolonnarsi in disordinata fila al sabato verso il mare, dieci ore chiusi in macchina per conquistarsi mezzo metro di sabbia, con impianti stereo che botteggiano (neologismo: la Crusca se ne faccia carico) impedendo ai gitanti di svolgere l'attività per loro più fastidiosa, insidiosa, perigliosa: pensare, dialogare, assaporare il silenzio.
D'altronde oggi i bòtti sembrano vincenti. I politici trionfanti hanno capito che, quando mancano gli argomenti (quasi sempre) c'è una folla docile che ama i bòtti, aspetta di assaporarli a lingua penzoloni come un cagnolino brama il biscotto, e apprezzerà un bel bòtto: pim pum pam, addosso a chiunque sia diverso, perché se sei diverso mi minacci. La politica del bòtti sta a quella del dialogo e della concertazione intelligente, come i cannoneggiamenti di San Silvestro stanno ai fuochi del Redentore in Laguna.
Tutti, ma proprio tutti, si dimenticano che quando "si parte con il bòtto" in genere si finisce male. La Borsa declina mestamente, la squadra di calcio subisce umilianti rimonte finali. Si dimenticano che alla base dei bòtti c'è polvere. Nera, ma pur sempre polvere. Per chi nasce dalla polvere è destino terminare in polvere. La morale di fine anno? Meno bòtti e più Botticelli e botticelle, sempre con moderazione s'intende.
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