Non è un rumore, è il piombare del silenzio, e del buio nella stanza. Si spegne la tv, si ferma il ronzio delle pale, al soffitto. Resti seduta, aspettando che gli occhi si abituino all'oscurità. Dalla strada gli antifurto partono insieme. Blackout: Milano bollente consuma al massimo. È la prima volta, quest'estate. Strano, di colpo, ritrovare la notte com'era. Subito accendi il cellulare, per un po' di luce; ma è scarico, non durerà un'ora. Ci si affaccia ai balconi: spente tutte le finestre di fronte. Gli allarmi non smettono di suonare. Non un rumore è stato, ma un mancare, un venir meno. Andiamo in camera grazie allo smartphone. Nel corridoio brillano gli occhi verdi e lucenti del gatto. Stupiti, paiono: gli umani non camminano al buio. Cerchi di dormire. Come tutta la tua vita, ti accorgi, dipende dall'energia elettrica: la luce, certo, ma anche il condizionatore in un'afa come questa, e il wifi, e il pc. E l'ascensore, e i bancomat. E le macchine che danno l'ossigeno a un malato. Dipendiamo dall'energia quasi come dall'aria, senza accorgercene. Che caldo fa. Non un filo d'aria. Un sibilo ti sfiora: anche l'emanatore, dannazione. Una zanzara famelica già ti danza attorno. Sarà una notte di una volta: l'aria ferma, il sonno che non viene, zanzare. E mentre ti muore il cellulare conti quanto manca all'alba. Cinque ore, sei? Così nel buio contavano gli uomini, una volta - ti sbalordisci a pensare.
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