«Abbiamo fatto l'Europa, ora bisogna fare gli europei», potrebbe dire oggi il marchese Massimo D'Azeglio (che forse non si espresse proprio in quei termini e neppure per primo), trasferendo la celebre frase sull'Italia appena unificata all'intero continente cui la Penisola appartiene. In realtà, tutti sappiamo che la stessa costruzione europea è ancora largamente incompleta e l'edificio fin qui messo in piedi subisce frequenti crisi di stabilità. Ma ancora più lontano appare il traguardo di un'appartenenza condivisa, da parte dei 450 milioni di cittadini dell'Unione, a un'unica entità percepibile come casa comune. Le ragioni sono ovviamente storiche e di conseguenza culturali. Per condurre a un convinto "idem sentire" popoli eterogenei per origini etniche, costumi e tradizioni, non basta certo una medesima dicitura sui passaporti o l'esposizione di una bandiera a dodici stelle sugli edifici pubblici. Opera meritoria è pertanto quella di promuovere quanto più e meglio possibile la conoscenza reciproca delle altrui radici e di tutte le ricchezze culturali da esse scaturite lungo i secoli. Senza dimenticare le rispettive bellezze naturali e paesaggistiche. Recentemente i Ventisette hanno preso sempre più coscienza di questo obiettivo, concordando in particolare sul ricorso massiccio ai nuovi strumenti informatici per facilitare l'impresa. A disposizione di tutti c'è quello che Bruxelles definisce nei suoi documenti il "cultural Heritage", ossia il patrimonio culturale. Un tesoro comune, ma in grandissima parte sconosciuto ai loro stessi proprietari, sia vicini che lontani. Affinché diventi familiare – e percepito come proprio – anche per chi non potrà mai usufruirne di persona, sarà decisivo il contributo delle tecnologie digitali. Di qui il varo, già da alcuni anni, di Europeana, una piattaforma che vuole raccogliere e mettere in una stessa rete, accessibile in forma universale, tutti i beni materiali e immateriali che formano i singoli patrimoni nazionali: edifici e monumenti, opere d'arte, musei e biblioteche, creazioni letterarie e audiovisive, siti archeologici e naturalistici, ma anche folklore, usi locali e simili. Il problema è che tutte queste realtà vanno trasfuse in "prodotti" informatici in grado di descriverle, contribuendo anche a proteggerle. Ad oggi, la piattaforma di Europeana ospita già oltre 50 milioni di "file", ma tantissimi altri mancano all'appello. Per questo la Commissione Ue ha da poco pubblicato una "Raccomandazione" agli Stati membri, per creare entro il 2030 uno "spazio comune" europeo dei dati della cultura. Appoggiandosi ad Europeana, ognuno dei 27 Paesi dovrà garantire entro fine decennio la raccolta digitale di tutto il patrimonio a rischio di degrado e di almeno il 50 per cento dei siti ad alta frequentazione da parte di visitatori. È previsto anche un traguardo intermedio, il 2025, entro il quale andrà completato almeno il 40 per cento del lavoro da fare, mentre un apposito comitato aiuterà governi e istituzioni a predisporre i piani d'intervento. Gli strumenti principali da impiegare saranno la metodologia 3D, l'uso dell'intelligenza artificiale e dei sistemi di apprendimento e traduzione automatica. Un grande lavoro, ma gli Stati possono contare ora sulle risorse finanziarie del "Next generation Eu". E soprattutto sanno che se vogliono credere e far credere i loro cittadini in un futuro comune, devono diffondere conoscenza e rispetto per il passato e il presente di tutti.
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