Èstato così nei giorni più drammatici del coronavirus, assoluto mistero del quale si ignorava tutto prima, durante, e in gran parte anche adesso. Siamo come foglie nella bufera, non sappiamo quasi niente. La nostra generazione ha sviluppato società e tecnologie molto complesse, ma la maggior parte di noi non sa con precisione nemmeno come funzioni una penna a sfera, o una bicicletta, perché un razzo possa decollare, o per quale arcano motivo il dentifricio a strisce esca, appunto, a strisce. Possediamo le cose, le usiamo, non ci facciamo domande. Spesso su molti futili argomenti non è indispensabile farsele, è vero. Ma è incredibile pensare a come l'umanità abbia ottenuto così tanto nonostante si comprenda così poco. Gli scienziati cognitivi Steven Sloman e Philip Fernbach sostengono che noi resistiamo e prosperiamo malgrado le carenze della nostra mente perché viviamo in una ricca comunità della conoscenza. La chiave della nostra intelligenza cioè sta nelle persone e nelle cose intorno a noi. Quello che non so io, lo sa qualcun altro, e tanto basta: la collaborazione delle menti tiene in piedi la società, e surroga l'ignoranza del singolo. Che comunque esiste e resiste, insieme alla supponenza sempre più debordante di chi si vanta di sapere. E in realtà non sa nulla.
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